Dopo le elezioni del 14 aprile
Di fronte alla crisi politica in Venezuela
Dichiarazione della Lit-Quarta Internazionale
La crisi politica in Venezuela, apertasi con la malattia e la successiva morte di Hugo Chávez, si approfondisce dopo il risultato delle prime elezioni successive alla scomparsa di colui che ha governato il Paese per 14 anni.
La sorpresa è stata grande. La maggioranza dei sondaggi dava a Nicolás Maduro (candidato del Psuv e scelto per succedere a Chávez) un vantaggio fra i 10 e i 15 punti percentuali, eppure la sua vittoria elettorale è stata risicatissima. Solo 1,83 punti hanno separato Maduro dal suo rivale, il candidato della destra Henrique Capriles: una differenza di 272.865 voti in un universo di quasi 15 milioni di voti. Si tratta dello scarto più basso nella storia del chavismo, anche se comparata al milione e mezzo di suffragi con cui Chávez sconfisse lo stesso candidato dell’opposizione nello scorso ottobre.
Capriles non ha riconosciuto l’esito elettorale ufficialmente annunciato e ha chiesto il riconteggio dei voti, forte di più di 3.000 denunce di irregolarità. In un primo momento, il leader dell’opposizione ha convocato una manifestazione davanti al Consiglio nazionale elettorale, dopodiché si è scatenata una serie di manifestazioni di protesta – alcune delle quali radicalizzate – che sono sfociate in attacchi alle sedi del Psuv, dei “Mercales” (mercati popolari), dei Cdi (Centri Diagnostici Integrali) e ad alcune abitazioni: si tratta di conquiste dei lavoratori che sono state difese contro questi attacchi da settori popolari e dalle comuni.
Maduro ha reagito proibendo la manifestazione convocata da Capriles, denunciando che si stava orchestrando un “golpe” rispetto al quale ha promesso “pugno duro contro il fascismo” e reprimendo alcune proteste che mettevano in discussione la legittimità del risultato elettorale.
Il bilancio di questa crisi, ad oggi, è di 8 morti, più di 61 feriti e 250 arresti.
I risultati
Indubbiamente, il risultato elettorale rappresenta una dura sconfitta politica per il chavismo. Per comprenderlo, è necessario inquadrare i fatti nel loro contesto. Nell’ottobre del 2012, con una partecipazione al voto dell’80%, Chávez vinse le elezioni con 10 punti di scarto, raggiungendo il 55,07% con un totale di 8.191.132 voti, mentre Capriles ne ottenne 6.591.304, pari al 44,31%. Va anche ricordato che nel dicembre dello scorso anno si sono tenute le elezioni regionali e il chavismo stracciò l’opposizione di destra conquistando 20 dei 23 governatorati.
Tuttavia, nelle recenti elezioni presidenziali convocate dopo la morte di Chávez il Psuv ha ottenuto 7.575.506 voti (50,78%) e Capriles 7.302.641 (48,95%). La perdita di consensi è evidentissima: con una partecipazione del 79% (quasi uguale a quello dell’ottobre 2012), il chavismo ha perso quasi 700.000 voti, passati direttamente a Capriles.
Il risultato evidenzia un discredito accelerato del chavismo e un rilevante rafforzamento dell’opposizione di destra.
Non si tratta però di un fulmine a ciel sereno. Nelle precedenti elezioni, con lo stesso Chávez come candidato, l’opposizione crebbe di quasi due milioni di voti. Si tratta di un processo oggettivo – che allora era allo stato iniziale e che il 14 aprile è rimasto confermato – per cui la classe lavoratrice e settori delle masse popolari vivono un crescente disincanto e vanno rompendo politicamente col governo venezuelano.
Le cause sono note: un’inflazione di più del 20% che divora i miserabili salari di milioni di lavoratori; disoccupazione e precarietà lavorativa in aumento; allarmante scarsità di prodotti di prima necessità; altissimi livelli di insicurezza sociale che colpiscono donne, giovani e settori popolari; aperto rifiuto da parte del governo di negoziare contratti collettivi; repressione sistematica delle lotte operaie e ferreo controllo governativo sui sindacati, ecc. Esiste un aggravamento della situazione economica, conseguenza della crisi mondiale e delle politiche antioperaie e antipopolari del chavismo, che si aggiunge ad altri drammi sociali che molto tempo si andavano accumulando.
Ciò ha più o meno rapidamente screditato Chávez e la sua pretesa “rivoluzione bolivariana”. Tuttavia, la figura del “comandante Chávez”, con tutto il suo carisma e prestigio politico, svolgeva – benché con margini sempre minori – una funzione simile a quella di un “arbitro”, riuscendo ad attenuare (a volte più, a volte meno) le contraddizioni sociali.
Insomma, è stata tutta la politica economica e bonapartista del chavismo che ha finito per fare strada e agevolare i progressi di una destra squallida. La sconfitta politica del “candidato di Chávez” non rappresenta una “svolta a destra” delle masse popolari, bensì un rifiuto della corrotta burocrazia statale che viaggia in lussuose 4x4, che ha patrimoni immensi ed è impantanata in vicende di prebende e corruzione. È un rifiuto della “boliborghesia” (borghesia bolivariana: Ndt) che utilizza una fraseologia “socialista” mentre si arricchisce facendo affari a partire dal controllo dell’apparato statale.
È la stanchezza popolare verso questo governo e questo regime ad aver creato le condizioni perché un ampio settore di massa appoggi elettoralmente l’opposizione di destra.
Golpe di destra?
L’appello alla mobilitazione lanciato da Capriles e gli attacchi da parte dei manifestanti hanno portato molti attivisti onesti e vari settori di sinistra a condividere la denuncia che Maduro ha fatto, che ci troveremmo cioè di fronte a un “tentativo di golpe” e ad “attacchi fascisti”.
Su questo punto è necessario essere categorici: in Venezuela non c’è alcun colpo di Stato, né una dinamica che vada in questa direzione. Se ci fosse un tentativo di golpe della destra, come accadde nel 2002, saremmo i primi a fronteggiarlo nelle piazze, anche in unità d’azione col chavismo. Ma la realtà non sta proponendo questo scenario.
In Venezuela si sono invece prodotte mobilitazioni di un settore popolare, perlopiù composto da simpatizzanti di Capriles che hanno risposto al suo appello, che esigono il riconteggio dei voti, dal momento che esistono denunce di irregolarità che potrebbero configurare brogli elettorali, tanto più nel quadro del minimo scarto fra i due candidati. Tali proteste, in alcune zone, si sono radicalizzate trasformandosi in attacchi alle sedi e scontri con militanti chavisti e con le forze repressive del governo, con le conseguenze di cui abbiamo già detto.
Posti questi fatti, è possibile affermare che la linea politica di Capriles e dell’imperialismo sia quella di realizzare un colpo di Stato in Venezuela? Nulla indica questa conclusione. La destra tradizionale vuole tirare per le lunghe la crisi più che può, per delegittimare e screditare ulteriormente il governo di Maduro per poi giungere anche a un negoziato con lui. Ciò è molto diverso da un colpo di Stato, che implicherebbe soprattutto strappare con la forza il potere a Maduro.
Non solo le forze armate stanno chiaramente dalla parte del neoeletto presidente e della cupola chavista, quanto, di fatto, non è questo l’orientamento di Capriles, che, non appena la situazione ha cominciato a sfuggire di mano, ha rilasciato nuove dichiarazioni facendo appello a sospendere le mobilitazioni e a calmare gli animi: “È il momento dell’intelligenza, della ragionevolezza. Non possiamo perdere la giusta direzione. La direzione è la pace. Non è con le minacce che si risolvono i problemi del Venezuela, è col dialogo”.
Perdipiù, la maggioranza dei governi latinoamericani, a partire da quello brasiliano, ha riconosciuto la vittoria di Maduro. Persino il governo reazionario di Mariano Rajoy in Spagna lo ha riconosciuto come nuovo presidente. È chiaro, dunque, che nessuno vuole “rovesciare il tavolo”, dato che un golpe potrebbe aprire una dinamica di scontri più acuti che avrebbe conseguenze imprevedibili per l’insieme della borghesia venezuelana e anche per l’imperialismo. Ed è ancor meno probabile, dal momento che ci troviamo di fronte a un governo che da tempo ha abbandonato pure la sua retorica “antimperialista”.
In questo quadro, Maduro e tutto il castrochavismo agitano la minaccia di un presunto golpe come ricatto politico, nel senso di ottenere forzatamente un appoggio politico rispetto a fantomatici “attacchi fascisti”.
Ciò è grave perché, con la situazione che c’è in Venezuela, è altamente probabile che le mobilitazioni continuino a svilupparsi a causa della situazione economica e alla stessa fragilità del neonato governo Maduro. È probabile che alcune saranno ispirate od organizzate dalla destra; ma altre saranno mobilitazioni operaie, popolari e studentesche che il governo Maduro, come già fece Chávez, accuserà di essere “golpiste” o “funzionali alla destra” e pertanto reprimerà.
E le mobilitazioni della destra?
La Lit‑Ci e la sua sezione venezuelana, la Ust, ripudiano la strumentalizzazione della crisi politica in Venezuela fatta dalla destra. Nessuno può dubitare che, dietro la richiesta di “trasparenza” e riconteggio dei voti, la destra squallida e sottomessa all’imperialismo tenti di legittimarsi per riprendere il potere e applicare contro la classe lavoratrice i suoi piani reazionari e di svendita del Paese. Perciò non appoggiamo queste mobilitazioni e men che meno i metodi di attaccare le sedi del Psuv, dei “Mercales” e dei Cdi, per cui facciamo appello ai lavoratori a mantenere la propria indipendenza e a non aderire agli eventuali appelli di Capriles.
In questo senso, per togliere spazio alla destra squallida, è necessario chiedere al governo che accetti la rivendicazione del riconteggio dei voti, come inizialmente lo stesso Maduro sembrava propenso a fare. È chiaro che un settore della popolazione non ha fiducia nei risultati annunciati ed è questa la leva utilizzata dalla destra per rafforzarsi presentandosi come vittima e “difensore della volontà popolare”. In questo senso, per tappare la bocca a Capriles e smascherarlo, Maduro dovrebbe accettare di ricontare i voti dimostrando così che il suo avversario sta manipolando i propri seguaci. Se ha realmente vinto, come il chavismo sostiene, non deve avere problemi. Se ha perso, il popolo ha diritto di manifestare.
È più che mai necessaria un’alternativa indipendente, operaia e socialista
Il programma nazionalista borghese del chavismo, benché sia stato sempre limitato, ha consumato le sue possibilità. Per uscire dalla grave crisi economica e sociale, per risolvere i problemi di fondo, è necessario fare ciò che Chávez non ha fatto, né ha mai avuto intenzione di fare (e ancor meno Maduro): attaccare gli interessi dell’imperialismo espropriando le sue proprietà, imprese, banche e terre, nazionalizzandole sotto il controllo dei lavoratori; porre fine alle “imprese miste” che legalizzano non solo lo sfruttamento da parte delle imprese imperialiste del petrolio e delle risorse del Venezuela, ma anche la loro proprietà; rifiutare di pagare l’immenso debito interno ed estero, dedicando tutte le risorse allo sviluppo economico al servizio delle masse popolari venezuelane.
L’alternativa al chavismo neppure può essere la destra tradizionale, apertamente reazionaria e ad alta vocazione golpista. Capriles e la vecchia borghesia venezuelana pensano solo di riprendere il potere per avvantaggiarsene come agenti diretti dell’imperialismo: non sono, né mai saranno, una soluzione per i lavoratori e le classi popolari. Capriles è una variante politica capitalista apertamente filostatunitense che continuerà a sfruttare il popolo lavoratore, come già fa nei governatorati che controlla (Miranda, Lara e Amazonas). Il suo obiettivo è svendere più efficacemente il petrolio venezuelano alle corporazioni internazionali e difendere i grandi imprenditori nazionali.
Perciò il principale compito è costruire un terzo spazio politico fondato sull’indipendenza di classe e in opposizione sia a Maduro e al chavismo che a Capriles e alla destra tradizionale neoliberale. In realtà, l’unica soluzione per risolvere strutturalmente i problemi della classe lavoratrice e delle masse popolari venezuelane continua a passare per la riorganizzazione e la mobilitazione indipendente delle sue forze.
In questo senso, come parte della battaglia per costruire questo terzo spazio sulla base dell’indipendenza di classe, sarebbe stato necessario in queste elezioni porre un’alternativa operaia e socialista, che invece non si è realizzata perché un settore della sinistra, il Partito Socialismo e Libertà (legato alla Uit e l’unico in condizioni legali per farlo) vi ha rinunciato. Si è trattato di un grave errore, poiché, indipendentemente dal numero di voti che avrebbe potuto ottenere, si è persa l’occasione per presentare un’alternativa politica per i lavoratori, indipendente dalle espressioni elettorali dei due grandi blocchi borghesi.
Che succederà ora?
Il colpo ricevuto dal chavismo avrà sicuramente conseguenze che tuttavia è prematuro immaginare. Una cosa sembra certa: l’instabilità politica continuerà. La destra, rafforzata, starà in condizioni migliori per fare opposizione a un governo Maduro che nasce già debole e messo in discussione.
Un governo che affronterà le proprie dispute interne in un Psuv in cui Diosdado Cabello, presidente del parlamento e diretto rappresentante della “boliborghesia”, ha già alzato la voce chiedendo, di fronte al risultato elettorale, una “profonda autocritica” e che si cerchino gli errori “persino sotto le pietre” per non vanificare “il legato del Comandante”: con ciò puntando direttamente a Maduro. In questo quadro, il successore di Chávez dovrà applicare dure misure contro i lavoratori ed è probabile che si rafforzino i settori repressivi del suo governo se questi attacchi risveglieranno lotte di resistenza operaia e popolare.
La Lit‑Quarta Internazionale e la sua sezione venezuelana, la Ust, continueranno a sostenere non solo le lotte operaie e sociali, quanto la necessità che i lavoratori comincino a costruire il proprio strumento politico, indipendente dai burocrati “boliborghesi”, dai padroni e dai militari, come unica strada per costruire il socialismo operaio, l’autentico socialismo.
(traduzione dallo spagnolo di Valerio Torre)