Partito di Alternativa Comunista

La crisi capitalistica, la lotta di classe

Italia

La crisi capitalistica, la lotta di classe

e la necessità del partito rivoluzionario

 

 

di Ruggero Mantovani

Si conferma e si aggrava la crisi capitalista con le sue ricadute sui lavoratori: secondo stime Ocse il 2011 sarà l’anno dei 29 milioni di disoccupati in Europa, mentre in Italia si è registrato, ad oggi, la maggior perdita di lavoro dal 1994

Il deficit di bilancio e i debiti pubblici, amplificati da una operazione di “socializzazione delle perdite“ subite dalle varie borghesie nazionali, verranno sanati a spese delle classi subalterne: ne sono esempi inequivoci il nuovo modello contrattuale, i tagli alla scuola pubblica, alla sanità e alle pensioni. Come affermato del direttore del Fmi, la crisi è ben lungi dal finire, e l’esponenziale aumento della disoccupazione rischia di provocare vere e proprie “esplosioni sociali”.

 

Il conflitto di classe negli ultimi tre anni

Guardando agli ultimi tre anni, dal versante del conflitto sociale abbiamo assistito a un crescendo di mobilitazioni dei lavoratori italiani e immigrati, che riporta alla mente le lotte radicali degli anni settanta.

A cavallo tra il governo Prodi e quello Berlusconi, nel 2008 esemplare fu la lotta dei lavoratori Alitalia/Cai ha rappresentato una ripresa del conflitto sociale con forme particolarmente radicale. Una lotta, quella dei dipendenti Alitalia, esemplificativa di quello che può succedere quando il posto di lavoro, il salario, i diritti sono messi in discussione: quando la difesa di questi diritti presuppone la nazionalizzazione dell'azienda, senza indennizzo e sotto controllo dei lavoratori, come l’unica risposta ai bisogni di classe. Ma i lavoratori Alitalia si trovarono di fronte il muro compatto, prima del governo di centrosinistra e poi del governo Berlusconi, quindi degli affaristi e speculatori, coordinati da Colaninno e sostenuti da tutta la burocrazia sindacale di Cgil, Cisl, Uil, Ugl. Quel grido di lotta ci indicava la necessità di unificazione delle rivendicazioni in una vertenza generale, unitaria e di massa per far pagare la crisi capitalistica ai veri responsabili: le banche e i padroni.

Già dopo pochi mesi dal suo insediamento era chiaro che il governo Berlusconi, sostenuto da ampi settori del padronato, intendeva muoversi come un bulldozer sui diritti, le tutele e i salari dei lavoratori. Il governo aveva di fronte una sinistra riformista (Prc, Pdci) in crisi di prospettiva dopo due anni di partecipazione al governo Prodi, mentre la burocrazia della Cgil portava la grave responsabilità di aver contribuito, assieme a Cisl e Uil, al crollo delle ore di sciopero durante il governo di centrosinistra, tant'è che alla Conferenza d'Organizzazione della Cgil, dello steso anno tutto il dibattito era centrato sul nuovo modello contrattuale da firmare con governo e Confindustria e sul processo di costruzione del sindacato unico, sul modello Cisl.

Quando il comitato "Stop Razzismo", povero di mezzi economici, ignorato da giornali come il manifesto, trattato con sufficienza dalla sinistra riformista (Prc, Pdci) e centrista (Pcl, Sinistra Critica), propose la prima vera manifestazione nazionale a Roma contro la politica securitaria e razzista del governo, il vento della lotta cominciava di nuovo a soffiare. Fu il primo segnale. Il Pdac c'era, di fatto uno dei pochi partiti in piazza.

A quella manifestazione seguiva lo sciopero proclamato da Rdb Cub, Cobas e Sdl. Quello sciopero non era soltanto il primo vero sciopero contro il governo e il padronato, esso dava inizio a quell'onda crescente di mobilitazione nella scuola e nell'università contro la devastante riforma del ministro Gelmini. Un'onda che nel suo crescere coinvolse i lavoratori della scuola e dell'università, gli studenti medi e universitari, i lavoratori precari e gli stessi genitori dei bambini delle scuole elementari. Un'onda che a partire dallo sciopero della scuola coinvolse gli istituti medi e universitari con assemblee permanenti, autogestioni, occupazioni, lotte ad oltranza, mentre si costituivano embrionali organizzazioni di lotta nazionali degli studenti.

Ma ancora. Dopo qualche mese scesero in piazza i pubblici dipendenti contro le misure del ministro della Funzione pubblica, Renato Brunetta, e del ministro dell'Economia, Giulio Tremonti. Malgrado l'articolazione macroregionale degli scioperi, la debolezza della piattaforma, la disdetta all'ultimo momento di Cisl e Uil, i lavoratori pubblici di fronte al taglio dei salari, dei diritti e perfino della contrattazione risposero con un’alta adesione e con una forte presenza in piazza.

Ma ancora. Almeno 40 mila lavoratori del commercio, parteciparono allo sciopero indetto dalla Filcams Cgil contro l'accordo sindacale, il primo di una serie di accordi separati da parte di Cisl e Uil, che aumentava, a parità di salario, il lavoro per gli apprendisti e imponeva maggiori aperture domenicali in un settore pervaso dalla precarietà e dai part-time.

In questo clima i ministri economici e del lavoro, i segretari generali di Cisl e Uil, il presidente di Confindustria si riunivano segretamente per predisporre un nuovo Patto per l'Italia, peggiore di quello del 2002, appesantito dalle linee guida sul nuovo modello contrattuale e dalla proposta di legge reazionaria di limitazione del diritto di sciopero.

D'altronde c'è appena bisogno di ricordare che la decisione di sciopero generale arrivava dopo che si erano consumati diversi accordi e intese separate da parte di Cisl e Uil e dopo i successi delle mobilitazioni, in un quadro che vedeva il settore manifatturiero sempre più investito dalla crisi capitalistica con licenziamenti dei lavoratori precari, aumento della cassa integrazione, chiusure aziendali ed esuberi.

 

Il ruolo della direzione Cgil e della direzione Fiom

Va da sé che la burocrazia sindacale della Cgil, legata ai liberali del Pd e alla sinistra riformista, ha costantemente evitato uno scontro frontale con il padronato e con il governo. Viceversa, la sinistra sindacale in Cgil, la Rete 28 aprile, avrebbe dovuto battersi per l'unificazione delle vertenze in una grande giornata di lotta e di sciopero generale, oltre a rilanciare la necessaria convergenza con tutto il sindacalismo conflittuale (Rdb Cub, Cobas, Sdl), a partire dalle lotte dei lavoratori Alitalia e del movimento degli studenti e dei lavoratori della scuola. Ma ancora una volta la principale direzione del movimento operaio, la Cgil, e la sua sinistra interna, dimostrarono di essere agenzie del capitalismo tra i lavoratori. La profondità della crisi sociale avrebbe dovuto (e tanto più oggi dovrebbe) vedere l’indizione di un vero sciopero generale e di massa che superando l'attuale frammentazione sindacale, con al centro una vertenza generale e con una piattaforma unificante i diversi comparti del lavoro salariato del pubblico e del privato, i precari, gli studenti e le masse popolari, con il fine di spazzare via questo governo reazionario, per far pagare la crisi ai veri responsabili.

Un crescendo di lotte che tra il 2010 e le prime settimane del 2011 ha visto un conflitto sociale emergere in forme sempre più radicali, con veri picchi di lotta: classe operaia e movimento studentesco hanno segnato una radicalizzazione delle lotte senza precedenti, di cui l’attacco a palazzo Madama a dicembre degli studenti è un esempio inequivoco. La grande mobilitazione della Fiom a ottobre 2010 ha preparato il terreno dello scontro sociale di cui la mancata vittoria del NO al referendum (con una percentuale risicatissima e determinata da soggetti non operai), si lega allo sciopero della Fiom del 28 gennaio che dimostra la necessità di un avvio di una mobilitazione di massa, ma che non trova in questo senso una reale direzione politica e un reale sindacato di classe: il ruolo della Fiom, seppur prezioso, trova il limite nella natura riformista della sua direzione.

 

Lo scenario internazionale è cambiato

Ma quello che sta accadendo in Italia è solo il riflesso di una vera e propria effervescenza che simultaneamente sta attraversando i Paesi capitalistici europei: le lotte degli studenti in Inghilterra; l’assalto al parlamento in Grecia, le mobilitazioni in Spagna e in Francia sono la cornice in cui si muove la lotta di classe.

E se nei Paesi a capitalismo avanzato si evidenza l’acuirsi della lotta di classe, nei Paesi dipendenti del Nord Africa stiamo assistendo a vere rivoluzione (date dall’impossibilità del governo a governare e dalla accettazione delle masse popolari allo scontro aperto con gli apparati repressivi dello stato).

In questo senso le rivolte popolari in atto in Algeria, Tunisia, Albania, Egitto e da ultimo in Libia, segnalano che queste masse di giovani si stanno ribellando non solo al carovita, ma alla propria condizione sociale di sfruttati, precari, disoccupati. Una condizione tanto più intollerabile a fronte del lusso delle proprie borghesie nazionali e del carattere reazionario e corrotto dei regimi politici dominanti. Un’intera generazione di giovani è infatti privata di ogni futuro: condannata o alla disoccupazione e alla marginalità di strada, o al supersfruttamento praticato da tante aziende europee (italiane in testa) a caccia di manodopera a basso costo.

 

Il bipolarismo italiano: il centrodestra...

La situazione politica italiana ha registrato in questi mesi fatti di inequivoco valore: la semi bocciatura del II Lodo Alfano da parte della Corte costituzionale e lo scontro tra Presidenza del Consiglio e la magistratura hanno acceso, in un clima già da tempo alterato, un’improvvisa accelerazione in direzione di una possibile crisi delle istituzioni borghesi.

In questi mesi abbiamo registrato uno sviluppo delle componenti reazionarie del berlusconismo: mortificazione del parlamento, conflitto con la magistratura e la stampa.

Questo quadro si è combinato con lo scontro con il partito di Fini (il Fli), con i conflitti emersi con la Chiesa cattolica acuitosi con lo scandalo cosiddetto “Ruby”, ed infine con le contraddizioni sviluppatesi nel blocco sociale di riferimento del centrodestra: insoddisfazione crescente di strati popolari nel Sud e di settori di piccola e media borghesia del Nord.

Il rinvio di Berlusconi a giudizio per il 6 aprile, con l’imputazione di sfruttamento della prostituzione e per concussione, rappresenta la rotta di collisione più alta registrata con la magistratura borghese.

Ma la verità è che a richiedere una soluzione alternativa a Berlusconi è esplicitamente la Confindustria, il Vaticano, oltreché importati settori del capitalismo finanziario ed industriale: Bankitalia, Banca Intesa, Montezemolo.

 

... e il centro sinistra

Con l’affermazione di Pierluigi Bersani, un anno fa, alla segreteria, il Pd guadagna una guida più esperta e collaudata, ma al servizio di una linea interna agli interessi della Confindustria e dei poteri forti. L’asse Bersani-D’Alema è quello più direttamente legato agli ambienti confindustriali e bancari, ben rappresentati nella Fondazione Italiani Europei. Gli stessi ambienti e interessi peraltro che il pluriministro Bersani ha servito per anni, con detassazioni dei profitti, privatizzazioni, precarizzazione del lavoro. Il Pd, che in verità avrebbe voluto una “pace istituzionale” con il governo Berlusconi, è dilaniato al proprio interno da guerre intestine: Veltroni sta affilando le armi per riprendersi la guida del partito; mentre Bersani, più realisticamente, sta costruendo la trama per una nuova Unione, tanto più dopo gli ultimi risultati alle primarie di Vendola, il quale incassa un incondizionato consenso del Prc di Ferrero. Insomma tutti d’accordo però con Marchionne e Confindustria e con Draghi sull’aumento dell’età pensionabile.

Parallelamente la principale direzione del movimento operaio - la Cgil- continua a combinare la critica delle politiche sociali del governo col rifiuto di una vera mobilitazione di classe, nel tentativo di ricomporre un nuovo spazio concertativo con Confindustria. Di qui lo sciopericchio di quattro ore, con manifestazioni locali, annunciato per maggio dalla Camusso.

 

Senza partito non si può vincere

Smentendo tutte le teorizzazioni su cui si è retto il riformismo governista in questi anni, siamo davanti a un’epoca di guerre, disoccupazione, fame e sfruttamento ma anche rivoluzioni. Oggi come ieri le vecchie direzioni del movimento operaio, con l’acutizzarsi della crisi della politica riformista, stringono rapporti sempre più stretti con la borghesia liberale e le sue rappresentanze politiche. Anche oggi, come ieri, è necessaria una battaglia internazionale per una nuova direzione del movimento operaio e il rilancio della prospettiva rivoluzionaria. E se oltre un secolo fa la riscoperta di Lenin del "vero Marx" fu essenziale per la costruzione del partito bolscevico, oggi la riscoperta di Lenin e di Trotsky contro tutte le deformazione socialdemocratiche, staliniste e centriste è essenziale per la rifondazione di un vero partito rivoluzionario. Solo un partito  intransigente nei fini e al contempo duttile nella tattica può, nella prospettiva storica, dirigere la presa del potere delle masse popolari e realizzare la rivoluzione socialista come unica alternativa alla quotidiana barbarie del capitalismo.

 

Iscrizione Newsletter

Iscrizione Newsletter

Compila il modulo per iscriverti alla nostra newsletter - I campi contrassegnati da sono obbligatori.


Il campo per collaborare col partito è opzionale

 

Campagne ed Iniziative





campagna

tesseramento 2024

 






Il libro sulla lotta in Alitalia

 il libro che serve per capire Lenin

 

perchè comprare

la loromorale e lanostra




sabato 28 giugno


8 giugno scuola nazionale

 

 

 


Venerdì 16 maggio

Siena

 


Sabato 3 maggio

Modena

 


venerdi 11 aprile

 
 
 

Bari 7 marzo
 
 

 
21 febbraio
zoom nazionale
 
 

 
BOLOGNA
15 febbraio ore 1030
 

 Giovedì 28 novembre
Zoom 
 

 


Modena (19 ottobre)

e Milano (20 ottobre)


sabato  19 ottobre

Modena


12 ottobre

Cremona

 


7 ottobre


 

 

 
 

 

Lega Internazionale dei Lavoratori - Quarta Internazionale

NEWS Trotskismo Oggi n 24

Ultimi Video

tv del pdac