Sulle
prossime elezioni politiche
La posizione del
Pdac
dichiarazione del
Comitato centrale
del Partito di Alternativa Comunista
Siamo a poche settimane dall’inizio della
campagna elettorale per le elezioni politiche della primavera del 2018 e il
quadro dei contendenti al governo del Paese è ormai definito, nonostante sia
difficile azzardare previsioni oggi su chi riuscirà a spuntarla.
I quattro schieramenti che si contenderanno
il governo del Paese per i prossimi anni sono anti-operai: si va dal
centro-destra unito attorno alla figura egemone di Berlusconi, nonostante al
momento non possa candidarsi e nonostante i malumori mai totalmente sopiti di
Salvini, al Pd di Renzi post-scissione, che nei sondaggi è sceso ai suoi minimi
storici e che tenta di arginare la perdita di voti verso Mdp cercando coperture
a sinistra e trovando i resti di Verdi e Psi che si uniscono in una lista comune
con i «civici» prodiani. La lista «Liberi e uguali» guidata da Pietro Grasso,
ex-magistrato e attuale presidente del senato, e formata da Articolo 1-Mdp di
D’Alema e Bersani, Sinistra italiana di Vendola e Fratoianni, oltre che
Possibile di Civati, altro non è che la riproposizione del progetto politico del
Pd senza Renzi: nonostante i sondaggi lo accreditino a percentuali piuttosto
basse attualmente, pare che la Cgil, o almeno alcune delle sue componenti,
possano mobilitarsi a sostegno della candidatura di Grasso, confermando peraltro
ancora una volta come la direzione di questo sindacato sia totalmente subalterna
alle politiche padronali. Da ultimo, ma non per importanza, il Movimento 5
stelle che in questa legislatura ha dimostrato quanto già sostenevamo, cioè che
il suo progetto non è alternativo, ma è assolutamente compatibile con questo
sistema economico, e anzi i suoi tratti reazionari divengono sempre più
manifesti, così come il fallimento delle sue esperienze di governo locale come
nel comune di Roma. Nulla di buono potrà venire dalla vittoria elettorale di
nessuno di questi schieramenti.
A sinistra dei contendenti «ufficiali» è
nata una lista, chiamata «Potere al popolo», promossa dal centro sociale di
Napoli Je so’ pazzo (storicamente alleato del sindaco De Magistris), ma ispirata
dietro le quinte da Rifondazione comunista. A questa lista ha aderito anche
Sinistra anticapitalista. Si tratta però dell’ennesima riproposizione di una
lista riformista senza nessuna prospettiva, che si è formata per tutelare
l’esistenza delle sue varie componenti: i centri sociali per contrattare meglio
con le amministrazioni locali, Rifondazione per cercare disperatamente di
rientrare in parlamento per ridare così ossigeno a un partito che è in agonia
per aver per anni sostenuto governi e giunte di centrosinistra, e che vorrebbe
utilizzare eventuali eletti per sostenere nuovamente il centrosinistra, a cui
oggi si proclama alternativo.
Di fronte a questo quadro, sarebbe
necessaria una lista operaia, che parta dalle poche ma importanti lotte che ci
sono nel Paese, con un programma classista e rivoluzionario, che serva ad
aggregare i lavoratori alle avanguardie politiche e di lotta, a unificare il
proletariato nella costruzione del partito che serve per lottare per quel
programma. Sfortunatamente le norme elettorali restrittive ideate dal parlamento
borghese non permettono la presentazione di tale lista, se non al prezzo di
cessare completamente ogni altra attività nei prossimi mesi: non è questa la
nostra concezione del momento elettorale, che deve essere un momento di
propaganda per il programma, ma deve anche essere al servizio delle lotte reali,
perciò cessare l’intervento nelle lotte per presentarsi alle elezioni per noi è,
in questo contesto, inammissibile.
Due liste «comuniste» hanno dichiarato la
loro intenzione di presentarsi alle prossime elezioni, nonostante gli ostacoli
posti dalla legge. Il Partito comunista di Marco Rizzo (di orientamento
stalinista) non ha in realtà nulla di comunista ed è guidato da un
ex-parlamentare che ha sostenuto attivamente non solo il governo borghese di
Prodi, ma che ha sostenuto D’Alema quando bombardava la Jugoslavia in una guerra
imperialista voluta dalla Nato. Vi è poi il cartello elettorale denominato «Per
la sinistra rivoluzionaria», inizialmente promosso da tre organizzazioni:
Sinistra anticapitalista (Sa), Pcl e Sinistra classe rivoluzione (Scr). Queste
tre forze avevano annunciato poche settimane fa di voler presentare un programma
«rivoluzionario» a queste elezioni. Tuttavia, dopo una serie di comunicati
congiunti, Sinistra anticapitalista ha abbandonato questo cartello per accodarsi
alla lista «Potere al popolo», che Pcl e Scr definiscono correttamente come un
tentativo di Rifondazione e altri di raccogliere forze per risalire sul
carrozzone del centrosinistra. Non ci stupisce l'atteggiamento di Sinistra
anticapitalista, dato che quando aveva parlamentari arrivò anche a dare un
sostegno «critico» al secondo governo Prodi: ma l'accordo e poi la rapida
rottura di Sa con Pcl e Scr, per andare a sostenere un progetto chiaramente
riformista, dovrebbe far riflettere su quale è il programma effettivo che questo
cartello, ora portato avanti solo da Pcl e Scr, intende presentare alle
elezioni. In effetti, proprio sulla questione strategica centrale, quella che
riassume il senso stesso del programma dei rivoluzionari, cioè la questione
della prospettiva di potere, altrettanto ambigua è la posizione di Scr che da
anni ha abbandonato il principio marxista dell'indipendenza di classe da
qualsiasi governo nel capitalismo, arrivando a definire come «influenzabili» - e
quindi da sostenere «criticamente» - la dittatura venezuelana di Chavez e Maduro
o la giunta borghese di De Magistris a Napoli. Quanto al Pcl, diede nel 2011 il
proprio sostegno al secondo turno elettorale tanto a De Magistris (candidato
sindaco a Napoli) come a Pisapia (candidato sindaco a Milano). Per questo ci
sembra che il programma di questa «sinistra rivoluzionaria» non sia nei fatti né
rivoluzionario né funzionale, nell'immediato, allo sviluppo delle lotte: non
casualmente Pcl e Scr da anni fanno insieme una invisibile «opposizione» alla
burocrazia all’interno della Cgil, che nei fatti si traduce in un adattamento
anche in ambito sindacale.
Mancando l’alternativa rivoluzionaria in
queste elezioni, il Partito di Alternativa Comunista inviterà ad astenersi dal
voto, nella consapevolezza che le elezioni sono un momento secondario della
lotta di classe e che è dalle mobilitazioni nei posti di lavoro e nei territori
che deve ripartire il conflitto sociale che bisogna riaccendere per provare a
rivoluzionare dalle fondamenta questa società capitalista basata sullo
sfruttamento. In questo senso parteciperemo alla campagna elettorale
propagandando un programma che parta dagli interessi immediati e storici della
classe lavoratrice.