Partito di Alternativa Comunista

Condanniamo l'attacco israeliano all'Iran e sosteniamo il contrattacco iraniano

Condanniamo l'attacco israeliano all'Iran

e sosteniamo il contrattacco iraniano

 

 

Dichiarazione della Lit-Quarta Internazionale

 

Le forze armate israeliane hanno lanciato un attacco aereo sul territorio iraniano, con 200 aerei da combattimento che hanno lanciato missili e distrutto basi militari, impianti nucleari e residenze private di militari. The New York Times ha riportato la morte di tre alti generali iraniani e di quattro scienziati del nucleare. Il governo iraniano ha promesso «una risposta forte» e ha già lanciato un attacco a distanza con missili su Tel Aviv, colpendo alcuni obiettivi militari. Perché il governo Netanyahu ha lanciato questo attacco? Quale sarà il livello della risposta iraniana? Come analizziamo questi fatti nel contesto dell'escalation dei conflitti nella regione?
Per rispondere a questa domanda è necessario considerare la combinazione del conflitto tra lo Stato di Israele e l'Iran da un lato e, dall’altro, la situazione regionale e internazionale creata dall'occupazione israeliana della Striscia di Gaza con metodi genocidi.

 

L’Iran ieri e oggi

Cominciamo dall'Iran, oggi governato dal regime religioso degli ayatollah. Questo regime si è instaurato dopo la grande rivoluzione che ha rovesciato il regime monarchico dello scià Mohamed Reza Pahlevi, fantoccio dell'imperialismo statunitense. Questa grande rivoluzione democratica aveva aperto la strada alla presa del potere da parte della classe operaia, ponendo all’ordine del giorno una rivoluzione socialista.
Per impedirlo, tornò nel Paese Ruhollah Khomeini (capo del clero sciita, costretto all'esilio dallo Scià) che, con la sua influenza e la forza militante di quel clero, riuscì prima a frenare la rivoluzione, poi a distruggere gli organismi che si era data e infine a sconfiggerla. Fu instaurata una «Repubblica islamica», etichetta per celare un regime dittatoriale borghese al servizio dell'arricchimento dell'alto clero sciita e di settori ad esso associati, attraverso il controllo dello Stato e delle sue imprese.
È un regime che, attraverso una durissima repressione, non solo garantisce un alto grado di sfruttamento dei lavoratori, ma opprime duramente le donne e le minoranze etniche, come i curdi. Per questo motivo, negli ultimi anni ha dovuto affrontare numerose scioperi e proteste di massa, ai quali ha risposto con una dura repressione e con molte esecuzioni.
Oggi l’Iran si trova in una situazione esplosiva.

 

L’Iran gioca in proprio nello scacchiere internazionale

Tuttavia, allo stesso tempo, in virtù delle sue origini, questo regime ha mantenuto un importante grado di autonomia dall'imperialismo Usa e un discorso antimperialista. L’obiettivo a cui mira è che l'Iran sia riconosciuto come potenza con un’influenza nella regione. Per questo si appoggia all'imperialismo cinese e russo. La Cina gli ha permesso di superare il blocco economico dell'imperialismo statunitense sulla questione nucleare ed è il suo principale partner commerciale. Con l'imperialismo russo ha un'alleanza economica, politica e militare, ma non di difesa reciproca. Ora Onu, Cina e Russia hanno criticato Israele per l'attacco (gli Stati Uniti invece lo hanno appoggiato).
Da parte sua, l'imperialismo statunitense ha «conti in sospeso» con il regime iraniano e diversi governi lo considerano un «nemico da combattere». Espressione di questo è stata la pretesa di supervisionare e limitare lo sviluppo nucleare iraniano e di applicare sanzioni commerciali.
Nella sua aspirazione ad avere un importante ruolo nella regione e a livello internazionale, il regime iraniano si è schierato in alcuni casi dalla parte opposta della lotta rivoluzionaria delle masse. Ad esempio, ha collaborato con l'imperialismo Usa per raggiungere un certo grado di stabilità in Iraq, Paese che era rimasto frammentato in mille pezzi dopo la sconfitta dell'occupazione militare del governo Bush nel 2003. Durante la guerra civile siriana, soldati iraniani hanno fatto parte delle forze militari che hanno sostenuto la dittatura di Bashar al-Assad contro l'offensiva «ribelle», così come si sono schierati con gli invasori russi inviati da Putin.
In altri casi, è stato dalla «parte giusta» della lotta: è uno dei paesi musulmani che non ha riconosciuto lo Stato di Israele e mantiene una posizione di sostegno alla lotta palestinese. Ha fornito le armi con cui Hezbollah è riuscito a sconfiggere due volte le invasioni israeliane. Recentemente, il regime iraniano è stato accusato di fornire le armi con cui gli Houthi yemeniti combattono contro l'Arabia Saudita e attaccano le navi israeliane che navigano nel Mar Arabico e nel Golfo di Aden. Si è trattato di un sostegno limitato. Durante tutta l'occupazione di Gaza, l'Iran non ha fornito alcun sostegno militare concreto ai palestinesi. Si è limitato esclusivamente a rispondere agli attacchi israeliani sul proprio territorio.
I governi sionisti hanno sempre considerato l'Iran un «nemico pericoloso» che deve essere sconfitto. Nel corso degli anni, i governi israeliani hanno affermato che le loro forze armate erano in grado di distruggere l’economia iraniana e gran parte delle sue infrastrutture militari e hanno chiesto il sostegno dell'imperialismo Usa per farlo. Quest'ultimo ha sempre chiesto loro di non sferrare attacchi, compreso lo stesso Trump pochi giorni fa, dichiarando: «siamo vicini a un accordo» con il regime iraniano e un attacco israeliano «lo rovinerebbe».

 

Il bivio di Netanyahu

Nonostante questa richiesta da parte del «fratello maggiore», il governo di Benjamin Netanyahu ha deciso di lanciare l'attacco. Perché lo ha fatto? In questa decisione si sono combinati diversi fattori che hanno messo il suo governo di fronte a un bivio.
In primo luogo, la grande difficoltà di raggiungere gli obiettivi dell'invasione della Striscia di Gaza: «annientare Hamas», espellere un milione di palestinesi in Egitto e annettere allo Stato di Israele il nord di questo territorio. Nonostante i metodi genocidi utilizzati, le migliaia di vittime e le terribili sofferenze inflitte ai palestinesi di Gaza, Netanyahu non è riuscito a ottenere la «vittoria definitiva» né a stabilizzare il dominio su Gaza, vista l'eroica Resistenza del popolo palestinese che rifiuta di abbandonare la propria terra. Una situazione riconosciuta anche dagli analisti sionisti più lucidi, come Mario Sznajder, professore di Scienze Politiche all'Università ebraica di Gerusalemme, secondo cui «Netanyahu non ha raggiunto nessuno degli obiettivi che hanno giustificato la pesantissima intervento militare a Gaza».
Allo stesso tempo, questa invasione ha riaperto una divisione nella società israeliana che si era già manifestata nelle grandi manifestazioni che hanno sconfitto la riforma giudiziaria promossa da Netanyahu nel 2023. Negli ultimi decenni, un settore importante degli israeliani (imprenditori e dipendenti) lavora in aziende private di sicurezza, software e sistemi, farmacologia e alimentari che esportano per miliardi di dollari e vogliono ottenere investimenti dagli imperialisti.
L'invasione di Gaza ha aumentato l'impatto della campagna internazionale Bds e questo ha generato una forte crisi economica dello Stato di Israele e grandi difficoltà per molte aziende e professionisti. Questo settore della società israeliana vuole porre fine alla «guerra permanente» e si è mobilitato (insieme ad altri) per chiedere al governo di Netanyahu di fermare l'invasione di Gaza e di avviare qualche forma di trattativa con i palestinesi. Si è persino aperta una crisi con i riservisti, che si rifiutano di rientrare nell'esercito perché non vogliono tornare a Gaza. A seguito di questa opposizione e di altre rivendicazioni specifiche (come la questione della fine dell'esenzione dal servizio militare obbligatorio per i religiosi ultraortodossi), il governo Netanyahu sta attraversando una crisi politica e non è escluso che possa cadere se perde la maggioranza parlamentare.
Vediamo ora la questione dell'isolamento internazionale dello Stato di Israele. Le massicce mobilitazioni di condanna dell'invasione di Gaza e dei suoi metodi e la solidarietà con i palestinesi hanno generato diverse ondate di mobilitazioni di massa, in particolare negli Stati Uniti e nei Paesi imperialisti europei che hanno sempre sostenuto incondizionatamente lo Stato sionista. Hanno costretto i loro governi governi a criticare l'invasione di Gaza e, insieme alla campagna Bds, hanno obbligato alcuni di essi a non investire nello Stato di Israele né ad acquistare i suoi prodotti. Persino Yair Golán, un ex generale israeliano di alto rango, ha affermato che «Israele sta diventando uno Stato ripudiato a livello internazionale, come il Sudafrica di un tempo».

 

La Freedom Flotilla e la Marcia su Gaza

Come espressione di questo rifiuto del genocidio a Gaza e di solidarietà con il popolo palestinese, attivisti di vari Paesi del mondo, come l'attivista svedese Greta Thunberg, hanno organizzato la Freedom Flotilla, un'imbarcazione che voleva raggiungere Gaza attraverso il Mar Mediterraneo, rompere il blocco imposto dallo Stato sionista e consegnare cibo e medicine alla popolazione. Le forze israeliane hanno minacciato la nave con droni, l'hanno circondata, attaccata con armi chimiche e hanno sequestrato e arrestato in Israele diversi membri dell'equipaggio. La maggior parte di loro è stata rilasciata e deportata, tranne due attivisti francesi e uno olandese, che non sono stati deportati né hanno potuto ricevere la visita dei loro avvocati, presumibilmente a causa della chiusura degli aeroporti israeliani a causa della situazione con l'Iran.
Parallelamente alla Freedom Flotilla, è stata organizzata la Marcia Globale su Gaza con un convoglio di diverse migliaia di attivisti provenienti dai paesi arabi del Nord Africa, come Marocco, Algeria, Libia e Tunisia, che hanno marciato a piedi e su veicoli verso l'Egitto per attraversare il Paese entrare nella penisola del Sinai, raggiungere il valico di Rafah (che collega Gaza con l'Egitto) e rompere così il blocco a sud del territorio. Attivisti di vari Paesi del mondo si sono uniti alla marcia al Cairo per partecipare, tra cui militanti della nostra organizzazione, la Lit-Quarta Internazionale [si vedano i reportage e gli aggiornamenti sui canali social del Pdac, del Pstu e della Lit, ndt].
In questo caso, lo Stato sionista ha affidato il compito di fermare la Marcia al regime egiziano, complice del sionismo e dell'imperialismo sin dagli accordi di Camp David (1978). Il regime egiziano ha eseguito gli ordini: ha fermato la Marcia al checkpoint di accesso al Sinai e l'ha costretta a tornare al Cairo.

 

L'attacco all'Iran

In questo contesto di forte isolamento internazionale e di crisi economica e politica interna, Netanyahu ha deciso di uscirne «sparando proiettili» (come ha fatto in altre occasioni, tra cui stessa invasione di Gaza). In altre parole, attaccare l'Iran per poi fare appello all’unità nazionale e a serrare i ranghi attorno al suo governo per combattere il nemico comune. Nei prossimi giorni sapremo in che misura ci è riuscito.
Al momento della stesura di questo articolo, i media riferiscono di un secondo attacco iraniano che, nonostante lo «scudo antimissile» schierato dallo Stato sionista, aiutato dalla tecnologia e dalle informazioni degli Stati Uniti, è riuscito a raggiungere alcuni obiettivi. Netanyahu e il suo ministro della Difesa si sono rifugiati in un bunker antimissile.

 

La nostra posizione

Condanniamo questa nuova aggressione dello Stato sionista contro l'Iran e sosteniamo la sua controffensiva sul territorio israeliano. Lo facciamo perché è un'espressione della lotta dei popoli arabi e musulmani contro l'enclave militare dell'imperialismo, lo Stato di Israele, che può mantenersi tale solo con aggressioni e attacchi militari permanenti. In questo conflitto, siamo nel campo militare dell'Iran e contro lo Stato sionista. Allo stesso tempo, manteniamo la nostra totale indipendenza politica nei confronti di questa dittatura borghese.
L’obiettivo della sconfitta dell’entità sionista è molto difficile da raggiungere con la sola «guerra tecnologica a distanza»: su questo terreno lo Stato di Israele ha un grande vantaggio, tanto più considerando il sostegno degli Stati Uniti. Al contrario, per i sionisti le cose si complicano molto quando il combattimento è terrestre, più convenzionale, come dimostrano le ripetute sconfitte nell'invasione del Libano.
Per questo motivo, l'Iran deve sferrare una guerra totale contro Israele. Allo stesso tempo, è necessario che ciò sia combini con un processo rivoluzionario negli Stati della regione, con una nuova Primavera araba che renda possibile l'incorporazione delle masse arabe e musulmane che sostengono la Palestina nella lotta contro lo Stato di Israele. Una rivoluzione che faccia quello che non hanno fatto i governi di Giordania, Egitto e Siria.

 

(14 giugno 2025)

 

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