Lo sviluppo del movimento
tra gli attacchi della repressione e dei sindacati
di Adriano Lotito

Il movimento di protesta, nato negli Usa lo scorso settembre, ha realizzato notevoli passi in avanti, riuscendo a progredire sia nell’organizzazione sia nel dibattito politico interno. Accanto al primo e più visibile, dal punto di vista mediatico, “Occupy Wall Street”, sono nati decine di movimenti e comitati simili in quasi tutti gli stati della federazione. Si tratta di qualcosa di molto potente poiché questo avviene nel cuore dell’economia mondiale e della crisi capitalistica in un Paese, peraltro, poco abituato e avvezzo ad una tradizione di lotte di classe organizzate. Questo processo di lotte e movimenti ha destato una reale preoccupazione nelle istituzioni finanziare e politiche, nel padronato nordamericano, tanto che la reazione delle forze di repressione di Stato non si è fatta attendere e ha prodotto, nel giro di un mese e mezzo, centinaia d’arresti e sanzioni nei confronti di studenti e lavoratori che manifestano.
Cause e origini degli “indignados” nordamericani
Il
movimento dei cosiddetti “indignati di Wall Street” è nato nei primi giorni di
settembre portando nelle strade e nelle piazze migliaia di cittadini di New
York, lavoratori, disoccupati, studenti, sfrattati e raccogliendo un gran
consenso nello strato disagiato delle grandi metropoli nordamericane. Infatti,
già nelle prime settimane l’onda d’urto si è espansa coinvolgendo la classe
lavoratrice della West Coast (Los Angeles, San Francisco), del Midwest
(Chicago), del Nord (Michigan e Massachusetts) e perfino il più reazionario
entroterra continentale. La spontaneità del movimento e i vaghi obiettivi
programmatici che il movimento si è dato sono, sicuramente, uno dei segni di
debolezza di questa lotta (come in generale del movimento a livello
internazionale), ma i segni positivi che si sono avuti sono da ricercare nella
ricchezza di dibattito dal basso e nella determinazione con cui è condotta la
lotta considerando, inoltre, la risposta brutale delle forze repressive di
Stato che non hanno esitato a caricare più volte le iniziative pacifiche (come
in occasione del tentativo di occupare Times Square lo scorso 15 ottobre).
Tra
le prime cause che hanno acceso la fiamma del movimento c’è la rabbia sociale
nei confronti dei privilegi e dei profitti che hanno accumulato i top manager
statunitensi negli ultimi anni, con e nonostante la crisi economica. E’ il caso
di Lèo Apotheker, uno dei boss della Silicon Valley che, dopo aver condotto al
disastro il colosso informatico Hewlett-Packard, è stato “liquidato” con un
premio di licenziamento di 13 milioni di dollari. Oppure il chief executive
d’Amgen (azienda del settore biotecnologie) che, dopo aver messo sul lastrico
2700 lavoratori (licenziandoli in tronco), se n’è scappato con un bottino di 21
milioni di dollari di stipendio annuo. Un insieme di fattori che ha prodotto
una giusta e inevitabile esplosione del conflitto sociale.
Sciopero generale e sindacati collaborazionisti
L’apice del movimento, a livello nazionale, è stato raggiunto il 2 novembre con l’ottima riuscita dello sciopero generale ad Oakland e con l’occupazione del porto e delle scuole, cui si sono associati blocchi degli uffici, della produzione e delle strade in modo permanente per tutta la giornata. Il comitato Occupy Oakland ha dimostrato in questi ultimi giorni di essere l’avanguardia più combattiva di tutto il Paese organizzando il primo sciopero generale del secondo dopoguerra, nonostante i numerosissimi divieti e sanzioni delle varie leggi repressive varate dai governi che si sono alternati, di repubblicani e democratici. Uno sciopero organizzato dal basso e indipendente dalle direzioni burocratiche dei maggiori sindacati del Paese, riuniti nell’American Federation of Labor and Congress of Industrial Organizations (Afl-Cio), che lo hanno boicottato costituendosi come parte integrante della macchina repressiva statale declamando la loro lealtà nei confronti dei contratti firmati (i quali hanno clausole antisciopero severissime). Si tratta questo di uno storico passo in avanti nella costruzione di un forte movimento di conflitto generalizzato in un Paese, gli Usa, la cui classe operaia ha poche esperienze di lotte di classe nella sua storia.
Costruire una direzione rivoluzionaria del movimento!
Come trasformare il sentimento d’indignazione, e il movimento creatosi, in un fattore politico realmente positivo e rivoluzionario? Questa è la domanda che sta attraversando i numerosi dibattiti politici in corso nel movimento a livello mondiale. Ebbene, la risposta del marxismo rivoluzionario a questa domanda decisiva è questa: bisogna assolutamente aggregare i settori più combattivi del movimento e organizzarli, in maniera disciplinata e consapevole, in un partito rivoluzionario, come la storia ci ha insegnato. Senza una direzione centralista e democratica ogni movimento positivo svaporerà in un nulla di fatto. Peraltro, la direzione del movimento, al momento, potrebbe essere lasciata a gruppi ambigui e politicamente dannosi, come il sindacato anarchico Industrial Workers of the World (Iww), l’unico sindacato ad aver appoggiato lo sciopero generale d’Oakland e la lotta degli scaricatori del porto di Longview, ma che, in prospettiva, non può costruire nessuna reale alternativa di società. Solo con una direzione rivoluzionaria del movimento è possibile auspicare un superamento del sistema capitalista e la costruzione dell’unica soluzione credibile per uscire dalla crisi: un’economia pianificata sotto il controllo dei lavoratori, in altre parole il socialismo.