Partito di Alternativa Comunista

Sulla visita di Obama a Cuba

Sulla visita di Obama a Cuba


di Alejandro Iturbe (*)

La recente visita di Barack Obama a Cuba è stata descritta come “storica” dalla stampa internazionale: erano quasi 90 anni che un presidente Usa non visitava il Paese e, in sostanza, è stata la prima visita effettuata dopo la rivoluzione del 1959.
Obama è stato ricevuto con tutti gli onori e il programma della visita comprendeva anche una partita di baseball (sport molto popolare in entrambi i Paesi) tra la squadra di Miami e la selezione cubana, alla quale Raul Castro e Obama hanno assistito insieme.

Anche se non è la prima volta che i due presidenti si incontrano (lo avevano già fatto nel recente Vertice delle Americhe a Panama), alcune immagini hanno un certo impatto; specialmente quella di Obama (il capo dell'imperialismo statunitense) nella Piazza della Rivoluzione a L'Avana, con la gigantesca figura di ferro con il volto di Che Guevara sullo sfondo e le bandiere cubane e statunitensi sventolanti insieme.

Qual è il significato di questa visita? La risposta a questa domanda aggiorna il dibattito avviato in seno alla sinistra, quando i due Paesi riannodarono le relazioni diplomatiche l'anno scorso: è un trionfo della rivoluzione che ha obbligato il suo “nemico storico” a riconoscerla o è un nuovo passo della consegna del Paese all'imperialismo che la direzione castrista compie dopo aver restaurato il capitalismo nel Paese e quindi un trionfo dell'imperialismo?

La prima posizione è sostenuta dalla corrente che abbiamo chiamato castro-chavismo (accompagnata da parte importante della sinistra mondiale), che sostiene che (dopo la restaurazione del capitalismo in Russia e Cina) Cuba rappresenta l'“ultimo bastione del socialismo” e continua ad essere, pertanto, a capo della lotta antimperialista. La seconda è difesa dalla Lit e da poche altre organizzazioni.

Pensiamo che questa visita chiarisca ulteriormente un dibattito che era già chiaro. Le dichiarazioni di Obama su Cuba che «già non rappresenta alcuna minaccia» e la proposta di «essere soci» in affari (e, per fare questo, c'è bisogno di porre fine all'embargo commerciale e di investimenti che gli Usa hanno imposto a Cuba da decenni) non lasciano spazio ad alcun dubbio: è un nuovo passo nella consegna del Paese all'imperialismo e un nuovo tradimento del castrismo.

Un altro elemento molto importante è che tutta la grande stampa mondiale e gli altri governi imperialisti (per esempio quelli europei) appoggiano e salutano questo “avvicinamento” e che Papa Francesco (e il Vaticano nel suo insieme) hanno giocato un ruolo centrale in tutto il processo. Questa gente sta puntando le proprie fiche contro i loro stessi interessi?


Le origini della rottura e l'embargo

Tuttavia, per spiegare meglio la nostra posizione, crediamo necessario ripassare brevemente la storia cubana moderna. Una storia che è stata sempre molto legata agli Usa dalla stessa guerra d'indipendenza cubana, alla fine del XIX secolo (fu l'ultima della colonie spagnole americane a rendersi indipendente), che venne vinta con un aperto sostegno della, allora emergente, grande potenza mondiale.
Come parte della concezione che considerava l'America Centrale e i Caraibi come il “cortile di casa” degli Stati Uniti, Cuba si trasformò in una specie di “colonia estiva” per tutto un settore della borghesia statunitense. E questo dominio coloniale si espresse, a partire dal 1940, nella dittatura di Fulgencio Batista.

Nel 1959, l'esercito guerrigliero del movimento 26 Luglio guidato da Fidel Castro (insieme al fratello Raul e a Che Guevara), rovescia Batista e assume il potere. Questo movimento aveva un programma democratico, nel quadro del sistema capitalista; però nella misura in cui comincia ad applicare alcune misure contro la borghesia cubana (come la riforma agraria) e altre che colpiscono le imprese statunitensi, i governi degli Usa, prima con il presidente Dwight Eisenhower e poi con John F. Kennedy, cominciano ad avere una politica sempre più aggressiva contro il nuovo regime e a cercare di rovesciare il governo di Fidel Castro. Tra le sue azioni possiamo menzionare il tentativo, sconfitto, di invasione della Baia dei Porci (aprile 1961).

In risposta a queste aggressioni, il governo castrista comincia un processo di espropriazione delle imprese imperialiste e della borghesia cubana (che fugge in massa a Miami)
Cuba si trasforma così nel primo stato operaio dell'America Latina, proprio nel “cortile di casa” dell'imperialismo statunitense. Come risultato di questo (e dell'applicazione dell'economia pianificata) non solo smette di essere un semi-colonia ma il popolo cubano ottiene conquiste importantissime, quali l'eliminazione della fame e miseria, e progressi molto grandi nel settore della sanità e dell'istruzione. È allora, nel 1962, che il governo degli Usa rompe le relazioni diplomatiche e decreta un embargo commerciale e degli investimenti verso Cuba.
Allo stesso tempo in cui rivendichiamo queste grandi conquiste della rivoluzione, è necessario dire che la direzione cubana ha costruito uno stato burocratico, senza democrazia reale per i lavoratori e le masse, secondo il modello stalinista. I lavoratori cubani non hanno mai diretto il governo cubano ma lo ha fatto la burocrazia del partito comunista cubano.

Inoltre, la direzione castrista si è mantenuta all'interno del criterio del socialismo “in un solo paese” proposto dallo stalinismo dalla seconda metà degli anni 20, contro la rivoluzione socialista internazionale propugnata dal marxismo già dal XIX secolo. Quel modello ha finito per fallire e, come anticipato da Lev Trotsky, ha condotto alla restaurazione capitalista in Urss, nell'Europa dell'Est, in Cina e a Cuba.

Nella struttura economica di Cuba presero ad avere un'importanza centrale le relazioni commerciali con l'Urss, che la riforniva di petrolio a buon mercato e tecnologia, e comprava l'intera produzione di zucchero, settore che si è mantenuto come l'asse centrale dell'economia cubana.
Nella sua politica internazionale, dopo un primo accenno al voler estendere la rivoluzione dando impulso ai movimenti guerriglieri in altri Paesi, si allineò in pieno alla politica estera dell'Urss (la “coesistenza pacifica” con l'imperialismo). Per questo, ha giocato un ruolo molto negativo frenando il possibile progresso verso la costruzione di nuovi Stati operai in processi simili a quello cubano, come avvenne in Nicaragua nel 1979, dopo che il Fsln aveva preso il potere, e Fidel Castro, il quale i sandinisti consideravano la propria direzione, li orientò a non avanzare nel costruire «una nuova Cuba in Nicaragua». Contribuì così a rafforzare il suo isolamento all'interno del continente americano.


La restaurazione del capitalismo si è già prodotta anche a Cuba

La restaurazione del capitalismo e la caduta dell'Urss (alla fine degli anni 80 e inizi dei 90) significarono un duro colpo per l'economia cubana che, in conseguenza, aprì il cosiddetto “periodo speciale”, pieno di privazioni per le masse. È allora che la direzione castrista decise di avanzare nella restaurazione del capitalismo nel Paese.
La definizione dell'attuale carattere di classe dello Stato cubano è stata oggetto di aspre polemiche all'interno della sinistra negli ultimi due decenni. Come abbiamo detto, per la corrente castro-chavista, Cuba resta “l'ultimo bastione del socialismo”. Altre correnti, incluse molti provenienti dal trotskismo, analizzano che c'è un processo di restaurazione in corso e vi si oppongono, ma dicono che tuttavia non vi è stato ancora un “salto qualitativo” e, per questo, Cuba continua ad essere uno “stato operaio burocratizzato”.

Per la Lit e poche altre correnti, la restaurazione capitalista si è già prodotta ed è stata realizzata dalla stessa direzione dei fratelli Castro. Le pietre miliari della restaurazione sono state:

  • La Legge sugli Investimenti Esteri del 1995 che ha creato le “imprese miste”, amministrate dal capitale straniero. Gli investimenti si sono diretti in particolare sul turismo e le attività collegate ma poi si sono estesi ad altri settori, come i prodotti farmaceutici, e successivamente al petrolio.

  • Il monopolio statale del commercio estero è stato eliminato, fino ad allora era esercitato dal Ministero del Commercio Estero: tanto le imprese statali come quelle miste possono negoziare liberamente le loro esportazioni e importazioni.

  • Il dollaro si è trasformato, di fatto, nella moneta corrente di Cuba, coesistendo con due monete nazionali: una “convertibile” in dollari e un'altra “non convertibile”.

  • È stata privatizzata, inoltre, la produzione e la commercializzazione della canna da zucchero, attraverso le “unità di base di produzione cooperativa” (80% della superficie coltivata). I loro membri non hanno la proprietà giuridica della terra, ma si suddividono i profitti ottenuti. Nel 1994, cominciarono a funzionare i “mercati agricoli liberi”, i cui prezzi sono determinati sul mercato.

A partire da queste misure, l'economia cubana ha smesso di funzionare sulle basi della pianificazione economica statale ed è passata a funzionare, seppur in maniera distorta, secondo le leggi del profitto e del mercato.
Cuba ha cessato di essere uno Stato operaio ed è diventato un Paese capitalista in un rapido processo di semi-colonizzazione. Ci sono numerose imprese straniere che operano nel Paese, in particolare spagnole, italiane e canadesi, che controllano settori centrali dell'economia (come il turismo e i famosi hotel della catena spagnola Meliá).

In questo quadro, la cupola castrista si è andata trasformando in socia dei capitali stranieri, garantendo i loro affari e, allo stesso tempo, arricchendosi con loro attraverso le imprese statali e la propria partecipazione nelle imprese miste.

La Legge sugli Investimenti Esteri approvata nel 2014 dall'Assemblea Nazionale di Cuba ha pienamente confermato questa analisi: è una legislazione che libera l'ingresso di capitali esteri e dà loro enormi agevolazioni fiscali (come l'esenzione dal pagamento delle imposte per otto anni) e fortissime garanzie legali (non potranno essere espropriati).
La legge ha aperto tutti i settori dell'economia agli investimenti esteri, ad eccezione di salute, istruzione e stampa.
Inoltre, il governo di Raul Castro sta aprendo un'enorme “zona franca” nel porto di Mariel. Questo porto, finanziato dal governo brasiliano, è modernissimo e possono attraccarvi i grandi mercantili transoceanici. È costato un miliardo di dollari ed è parte della scommessa cubana di essere parte delle rotte commerciali Asia-Usa.

L'altra faccia di questo piano, è un processo di crescente deterioramento delle conquiste che erano state ottenute con la rivoluzione in settori chiave come la sanità, l'istruzione, la garanzia di lavoro, la tessera annonaria, e come se non bastasse il licenziamento di centinaia di migliaia di dipendenti statali, condannati a sopravvivere proprio come cuentapropistas (lavoratori informali in proprio). Nel frattempo, i lavoratori guadagnano salari medi di diciotto dollari e non hanno diritto ad avere sindacati liberi.


Si chiude un dibattito all'interno della borghesia imperialista

Dalla restaurazione del capitalismo a Cuba, si è aperto un intenso dibattito all'interno della borghesia imperialista statunitense. Da un lato stava la borghesia gusana anti-Castrista residente a Miami, con forti legami e molto peso nel partito repubblicano, che poneva due condizioni per riannodare le relazioni con Cuba (e liberare il commercio e gli investimenti): la caduta del regime castrista e la garanzia della devoluzione dei beni espropriati dalla rivoluzione.
D'altra parte, diversi settori, maggiormente legati ai democratici ma con espressioni anche tra i repubblicani, hanno visto come si sprecavano eccellenti opportunità di affari in un Paese tanto vicino geograficamente, in settori quali il turismo, la finanza, la produzione agricola, la vendita di prodotti industriali, ecc. Queste opportunità venivano sfruttate da Paesi europei (in particolare la Spagna). Di fatto, alcuni già aggiravano la normativa vigente negli Usa e realizzavano investimenti “camuffati” da aziende canadesi.

Il dibattito ha oggi una chiara soluzione: si sono riannodate le relazioni diplomatiche e così si apre la strada per la liberazione degli investimenti e del commercio. È del tutto possibile che Obama abbia fatto un accordo con settori di peso della borghesia anticastrista.

Lo stesso Obama si è impegnato a presentare al Congresso la richiesta di abrogazione della legge di embargo. A riprova del fatto che il presidente Usa avrà il sostegno di un'ala dell'opposizione, Marco Rubio, senatore repubblicano della Florida (ed ex candidato alle primarie presidenziali repubblicane), di origine cubana, ha spiegato che l'accordo include la normalizzazione dei vincoli bancari e commerciali tra i due Paesi.

L'insistenza di Raul Castro sulla fine del blocco non significa un “trionfo della Cuba socialista” ma, al contrario, la ricerca di un'ondata di investimenti imperialisti statunitensi che approfondiranno ancor più il processo di semi-colonizzazione che vive il Paese da quando il capitalismo è stato restaurato. Le misure che ora si annunciano sono anche parte di un'integrazione coloniale di Cuba nella “globalizzazione”.Il progetto dei Castro è trasformare Cuba in una “piccola Cina”, ricettrice semi-coloniale di importanti investimenti imperialisti statunitensi a poche miglia dalla costa di Miami. E che questo sia fatto senza cambiare il regime politico, mantenendo la dittatura del partito comunista, ora però al servizio dell'amministrazione di un Paese capitalista.

E Obama gli risponde positivamente su entrambi gli aspetti. Da un lato dice: «Vogliamo essere soci» (e sappiamo tutti cosa significa in bocca all'imperialismo). Dall'altro: «Il destino di Cuba lo devono definire i cubani» e «accettiamo l'esistenza di due sistemi differenti». In altre parole, fin tanto che ci garantisce la consegna di Cuba, non questioneremo la dittatura dei Castro.

Le correnti di sinistra che salutano questo processo come «una vittoria della rivoluzione» stanno aiutando a mascherare una realtà che avrà gravi conseguenze per le masse popolari cubane (in realtà, già le ha). La Lit non si aggiunge a questo coro: pensiamo che, purtroppo, non sono stati i decenni di lotta delle masse popolari cubane che stanno ponendo fine all'embargo ma la restaurazione del capitalismo nell'isola. Di questo accordo beneficiano l'imperialismo e la nuova borghesia cubana formata a partire dal governo castrista.

Allo stesso tempo, nel resto del mondo, aiuta ad ostacolare la lotta e a non chiarire chi è il nemico. Dopo Cuba, Obama ha visitato l'Argentina e ha incontrato il presidente Macri. Da un lato, gran parte della sinistra marciava unita, ripudiando entrambi, e bruciava la bandiera yankee. Dall'altro, la città era tappezzata di manifesti che dicevano OBAMA, TI AMIAMO. Intorno alla firma “Presidenza della Nazione” c'erano le bandiere di Argentina e Cuba. Si tratta evidentemente di una manovra di Macri che però, purtroppo, si poggia su un fatto reale: durante la visita a Cuba, anche i Castro hanno portato il loro popolo a dire “Obama, ti amiamo” (o per lo meno, “ci sei molto simpatico”).


Quali sono il programma e i compiti attuali a Cuba?

Il dibattito che stiamo affrontando ha un secondo aspetto centrale: che tipo di regime e governo guidano oggi i Castro e quale deve essere il programma dei rivoluzionari di fronte ad esso?
Come abbiamo detto, anche nel periodo di esistenza dello Stato operaio cubano, i Castro e il PC cubano hanno costruito un regime burocratico e repressivo che impediva qualsiasi tipo di libertà democratica per i lavoratori e le masse. Durante tutti questi anni però il regime ha difeso le basi sociali dello Stato operaio.

Successivamente, è stato questo stesso regime che ha restaurato il capitalismo nel Paese e sta garantendo il processo di penetrazione imperialista. Così come abbiamo già detto, intorno alla cupola castrista si è andata conformando una nuova borghesia associata agli investimenti imperialisti. La conclusione quindi è che ora il regime dei fratelli Castro è una dittatura o governo totalitario in un Paese capitalista, al servizio della colonizzazione economica del Paese.

Questa conclusione può risultare scioccante per l'immensa maggioranza dei militanti della sinistra, educati nella rivendicazione e alla difesa di quello che è stato l'unico Stato operaio dell'America Latina, e del giusto prestigio che i fratelli Castro (specialmente Fidel) avevano guadagnato per essere a capo di questa rivoluzione. Siamo stati parte di quella generazione e grandi ammiratori e difensori della rivoluzione cubana. Come marxisti però non possiamo basare le nostre analisi e caratterizzazioni, né la nostra politica, su ragioni sentimentali ma sui fatti reali, per crudi che siano.

Se l'analisi che abbiamo sviluppato è corretta (cioè se Cuba si è trasformata in un Paese capitalista in accelerato processo di colonizzazione economica), sorgono conclusioni essenziali sul programma che i rivoluzionari devono propugnare per il Paese. In primo luogo, l'asse strategico del programma è oggi la necessità che a Cuba si sviluppi una nuova rivoluzione operaia e socialista che ricostruisca le basi dello Stato operaio distrutto dai Castro. Dentro questo programma, assume un'importanza centrale la lotta contro la dominazione imperialista che ora si accentuerà con gli investimenti yankee, oltre che contro le misure concrete che si applicano per facilitarla e le sue conseguenze sul livello di vita dei lavoratori e delle masse popolari cubane (per esempio, il licenziamento di centinaia di migliaia di lavoratori statali, il deterioramento della sanità pubblica o i bassissimi salari). Entrambi questi processi ci portano a scontrarci frontalmente e a lottare contro il regime e il governo dei Castro.

In secondo luogo, se siamo di fronte ad una dittatura in un Paese capitalista, una componente centrale del programma per Cuba è la lotta per le più ampie libertà democratiche per i lavoratori e le masse
Per esempio, oggi a Cuba non esistono sindacati liberi (solo quelli “ufficiali” che, di fatto, integrano l'apparato dello Stato) che possano lottare per migliori salari e condizioni di vita per i lavoratori (ricordiamo che il salario è, nella maggior parte dei casi, di diciotto dollari mensili). È un assurdo che la sinistra castro-chavista si posizioni contro questo diritto o contro quello che i lavoratori possono fare sciopero contro questa situazione.
Difendiamo anche il diritto alla libertà di formare partiti politici che non siano il PC. E, in questo, includiamo non solo il diritto per partiti rivoluzionari, come quelli che compongono la Lit, ma anche per organizzazioni riformiste come Podemos o Syriza. Per coloro che ci accusano di difendere le libertà anche per la borghesia, rispondiamo che la borghesia imperialista ha già e avrà tutti i diritti di sfruttare i lavoratori cubani e ottenere grandi profitti nel Paese, per gli accordi fatti dal governo castrista. Non siamo noi quelli che chiamano a salutare Obama o a sventolare bandiere yankee. Quello che difendiamo è che le libertà siano per tutti, specialmente perché i lavoratori possano lottare meglio contro questo sfruttamento capitalista e contro la dittatura castrista. E questa lotta può essere portata fino alla fine, solo con il rovesciamento del regime dei Castro.

Per quanto riguarda la lotta contro la dittatura e per le libertà democratiche per i lavoratori e le masse, possiamo dire che la situazione cubana è simile alla lotta che ha avuto luogo in Egitto contro Mubarak, ed ora contro il regime militare nel suo complesso, o contro Bashar al-Assad in Siria. Per noi, la caduta della dittatura mediante l'azione delle masse sarebbe un passo in avanti e aprirebbe migliori condizioni per la lotta strategica per una nuova rivoluzione operaia e socialista. È solo portando avanti questa lotta che potremo realmente combattere l'imperialismo yankee, oggi alleato dei Castro.



(*) dal sito della Lit - Quarta Internazionale www.litci.org

Il sito, aggiornato quotidianamente, dispone di pagine in spagnolo, portoghese, inglese, francese ed arabo.


(traduzione dall'originale in spagnolo di Giovanni “Ivan” Alberotanza)

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