Partito di Alternativa Comunista

Dopo il referendum: la rivolta è il nostro voto!

Dopo il referendum: la rivolta è il nostro voto!

 

 

di Diego Bossi

 

 

 

L’8 e il 9 giugno si sono svolti i referendum sul lavoro e sulla cittadinanza. Il quorum di validazione non è stato raggiunto, l’affluenza registrata alle urne è stata del 30%, fermando l'impegno elettorale di quanti si sono recati ai seggi a 20 punti percentuali dall’ingiusto quorum imposto dalle leggi borghesi. Ma questo per noi è assai poco rilevante.
Ora, come da consuetudine dei partiti borghesi e riformisti, inizierà il balletto delle interpretazioni dei risultati elettorali, dove i soggetti in campo, come si suol dire, tireranno l’acqua al proprio mulino, omettendo o evidenziando dati e sfumature a seconda del proprio interesse politico, immaginando intenzioni di voto, scaricando responsabilità e cercando alibi, per intestarsi una vittoria o edulcorare una sconfitta.
Dal canto nostro diamo continuità a quanto abbiamo detto e scritto nei mesi scorsi, ribadendo la necessità di organizzare il conflitto sociale come strumento principale di lotta sindacale e politica e come unico mezzo in grado di portare trasformazioni sociali favorevoli ai lavoratori.
Ma non rinunciamo ad esprimere qui alcune nostre considerazioni sul voto.

 

Una sconfitta?

Prima di valutare il risultato referendario è utile avere un quadro dal punto di vista di classe e materiale. Considerando che i temi sottoposti a referendum riguardavano una sola classe sociale, i lavoratori salariati, e tra questi un settore oppresso della società, gli immigrati (questi ultimi nemmeno hanno avuto il diritto di voto!), il risultato è tutt’altro che sconfortante. Più in generale possiamo dire che la democrazia borghese è distorsiva perché diluisce le istanze materiali di classe in un tutt’uno interclassista, sotto l’etichetta, ideologica e astratta, dei «cittadini dello Stato».
In questo contesto, considerando inoltre il dominio dei media nazionali e di massa da parte dei padroni, non deve affatto stupire un’affluenza del 30% che comunque si traduce in 14 milioni di votanti.

 

Il referendum può essere parte della lotta, non potrà mai essere «la lotta»

La sconfitta alberga solo alle latitudini di chi pensa che il referendum sia lo strumento dei lavoratori per migliorare le loro condizioni: ai teorizzatori de «Il voto è la nostra rivolta», per intenderci. Al contrario noi crediamo che un referendum di questo tipo possa essere una tappa di un percorso di lotta che debba necessariamente sfociare nel rilancio della mobilitazione generale e degli scioperi. In questo senso abbiamo «utilizzato» questo referendum per il conflitto di classe: abbiamo sfruttato l’occasione per parlare con più lavoratori possibile e portare tra essi il nostro programma di classe, denunciando politicamente le ipocrisie degli stessi promotori, Pd in testa, che hanno sostenuto il referendum pur essendo responsabili delle leggi che il referendum voleva mettere in discussione. Dal Pd al M5S fino ad Avs, i volti che più di tutti si sono esposti a sostegno del referendum sui mass media hanno dimenticato di precisare che, quando recentemente sono stati al governo, come vedremo tra un po’, quelle leggi si sono guardati bene dal metterle in discussione.
Se tanti operai non sono stati convinti ad andare a votare è anche per la mancanza di credibilità di questi soggetti politici, fedeli rappresentanti della borghesia nostrana.

 

Astensionismo malattia infantile del comunismo

Sul versante opposto ai sostenitori della «rivolta» per via referendaria, vi sono state le posizioni avanguardiste, dogmatiche e prive di flessibilità tattica di quanti, da sinistra, hanno dato indicazione di astensione per giungere oggi a un inconcludente e controproducente «ve l’avevamo detto».
L’elemento principale ignorato da chi ha disdegnato i referendum è che 14 milioni di persone che sono andate a votare «Sì» non erano raffinati giuslavoristi, ma lavoratori che hanno percepito come progressivo abrogare delle leggi ingiuste, credendo onestamente di svolgere un’azione contro il precariato e le morti sul lavoro. È utile domandarsi dove debbano posizionarsi i comunisti rispetto a questa massa (perché sì, 14 milioni di persone sono una massa): al fianco dei lavoratori o sul pulpito a dispensare giudizi?

 

La situazione attuale e le responsabilità delle direzioni sindacali

Tutti gli indicatori ci restituiscono un quadro da emergenza salariale, dove un quarto degli italiani vive in condizioni di povertà e circa 4,5 milioni di persone — ovvero il 7,6 % della popolazione — hanno rinunciato a prestazioni sanitarie (visite, esami, cure) per una combinazione di motivi: problemi economici, liste d’attesa troppo lunghe o difficoltà logistiche.
Considerando che dall’abolizione della scala mobile gli adeguamenti salariali sono affidati alla contrattazione collettiva, oggi è necessario imporre un bilancio impietoso degli ultimi tre decenni. Le ragioni che hanno portato la classe lavoratrice alla situazione drammatica di oggi sono diverse. Dal punto di vista contrattuale dapprima è stato condannato il potere d’acquisto, introducendo l’indice Ipca nei contratti nazionali, vale a dire l’inflazione depurata dai costi energetici, assai rilevanti per le spese quotidiane degli operai; poi si è arrivati alla politica della compensazione, cercando di colmare le voragini causate dall’Ipca, dalle riforme previdenziali e dai tagli alla sanità pubblica con istituti come il welfare contrattuale, i fondi pensione (scippando il Tfr dei lavoratori!) e i fondi sanitari privati: elementi che all’unisono viaggiano a detrimento delle risorse pubbliche, garantendo risparmi alle imprese e privilegi per gli apparati sindacali.
La rappresentanza sindacale è stata letteralmente barattata in cambio dell’esclusiva sulle agibilità sindacali, i diritti di sciopero e dissenso sono stati compressi nelle logiche liberticide di tutta l’impalcatura normativa fatta di accordi interconfederali e contratti collettivi.
L’approvazione e la conversione in legge di svariati decreti sicurezza, dai governi Lega M5s al governo Meloni (lasciati in Gazzetta ufficiale dal Pd quando era al governo) hanno criminalizzato il dissenso e le proteste a partire dalle lotte di sostegno alla Resistenza palestinese che stanno animando manifestazioni e cortei in tutto il mondo.
La crisi mondiale dell’automotive stringe la sua morsa: in Italia Stellantis sta attuando uno smantellamento industriale lasciando per strada decine di migliaia di operai.
Di fronte a una situazione grave come quella attuale, le direzioni dei sindacati confederali hanno sostituito gli scioperi con le trattative silenziose e a porte chiuse; quando, raramente, vengono proclamati gli scioperi su pressione della base, sono organizzati all’insegna della frammentazione territoriale e categoriale.
Queste direzioni politiche (Pd, M5s e Avs) e sindacali (Cgil) vanno inchiodate alle loro responsabilità. Queste canaglie dai glutei incollati al velluto delle poltrone, arricchitesi facendo marchette col capitale sulla pelle del proletariato, oggi promuovono i referendum per rifarsi una verginità politica davanti a quegli stessi lavoratori che hanno tradito da sempre: cercano di cancellare per via referendaria decenni di norme antioperaie da loro prodotte.

 

La necessità di un programma di classe

Non c’è nessuna sconfitta per i lavoratori che lottano, alla nostra classe non interessano i quorum imposti dalle leggi borghesi, né appalteremo le nostre conquiste ai loro referendum, che abbiamo utilizzato come elemento ausiliario della nostra lotta.
Rilanciare, radicalizzare ed estendere le mobilitazioni, unendo tutte le lotte sociali e di Resistenza dei popoli oppressi dall’imperialismo e dai suoi alleati a quelle della classe operaia. Lottiamo per un programma di classe indipendente dalla borghesia:

-500 euro di aumento salariale per recuperare 30 anni di perdita di potere d’acquisto

- Basta contratti precari: assunzione a tempo indeterminato di tutti lavoratori

- Reintegro pieno per tutti dopo i licenziamenti illegittimi

- Abolizione di appalti e subappalti al ribasso

- Rappresentanza sindacale libera dai compromessi col padronato: siano gli operai a decidere le loro rappresentanze

- Cittadinanza per tutti senza discriminazioni

- Abrogazione di tutte le norme antisciopero

- Riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario fino al riassorbimento della disoccupazione

- Nazionalizzazione delle banche e delle imprese, a partire da chi delocalizza, sotto il controllo dei lavoratori

 

 

 

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