raccontata da uno dei suoi protagonisti
Intervista a Fabio D'Alessandro, attivista niscemese No Muos

In questa sede vogliamo ripercorrere il percorso No Muos attraverso la voce di un attivista che questa lotta l'ha vissuta in prima linea in questi anni, un compagno che traccia con grande onestà e profondità il bilancio di questa esperienza straordinaria. Si tratta di Fabio D'Alessandro, attivista niscemese, che ci offre una testimonianza interessante, a cuore aperto, per comprendere una delle lotte più dure attualmente in corso di svolgimento in Italia.
Fabio, quando ha avuto inizio la lotta contro il Muos a Niscemi? E il tuo impegno di attivista?
La lotta va ormai avanti da 6 anni. Il mio impegno nei primi anni è stato sporadico, non per mia volontà ma per la distanza fisica che mi ha costretto lontano da Niscemi. Poi è diventato sempre più assiduo, fino a convincermi di lasciare Catania, la città in cui studiavo, per stabilirmi nuovamente a Niscemi. Ho portato il bagaglio politico acquisito durante gli anni di università nel posto che mi ha cresciuto.
Probabilmente la notte dell’11 Gennaio, quando lo Stato, pur di far passare un’enorme gru che serviva ad issare le parabole, ha militarizzato completamente il territorio. Non era mai successo nemmeno per fatti di mafia: Niscemi è una città ad alta densità mafiosa, in cui le guerre di mafia facevano centinaia di morti ogni anno. Quella sera mi trovavo a Catania, quando una telefonata ci ha avvertito che quella notte sarebbe passata la gru che aspettavamo da mesi. Spesso abbiamo avuto falsi allarmi, svogliatamente mi sono recato di vedetta sulla strada statale Gela-Catania per monitorare la situazione. All’improvviso ecco apparire un convoglio fatto da mezzi pesanti, polizia e mezzi tecnici. È stata una visione, una di quelle cose che ti accelera il battito, una scossa di adrenalina. Dopo aver dato l’allarme li ho seguiti fino a Niscemi. Avevamo pensato ad un blocco stradale a qualche chilometro dalla città. Lo spettacolo che ci si è presentato davanti è stato terrificante. Notte fonda, lampeggianti e luci delle camionette. Quasi 300 uomini di polizia a scortare i mezzi, di notte. Poi gli spintoni, le manganellate, i pianti.
Lo è ancora. Ma è una caratteristica delle lotte popolari. Il Muos porta con sé criticità multiple, capaci di attrarre ampie fette di popolazione. Dunque varie istanze, che hanno difficoltà spesso a dialogare ma che, finora, soprattutto nei momenti d’azione e nelle manifestazioni, sono riuscite ad agire all’unisono. Ci sono gli ambientalisti, i pacifisti, gli antimilitaristi. La questione della salute, certamente, ma anche quella dell’autodeterminazione dei territori. Anche sui metodi ci sono grosse divergenze, dagli iper-legalisti ai sabotatori. La vera vittoria probabilmente sarà quella di portare gli iper-legalisti a sabotare, com’è già successo.
Violare una base americana non è roba di tutti i giorni. Ci sono volute decine di assemblee, tavoli ribaltati e incazzature varie per trovare una sintesi. Un movimento è un organismo complesso, ogni cellula va rispettata. Quando abbiamo lanciato la manifestazione del 9 sapevamo che avremmo dovuto fare un salto in avanti, per molti di noi era chiara l’idea di invadere la base. Si è trattato di una grossa scommessa, non sapevamo con che atteggiamento la persone avrebbero partecipato a quel corteo. Molti, anche tra i militanti più radicali, non erano certi dell’invasione. Se c’è una cosa che ha funzionato è certamente la capacità di sintesi del movimento. Non ha funzionato invece qualcosa se tutti siamo tornati a casa con l’amaro in bocca, come se per certi versi si fosse trattato di un’occasione persa. In realtà è un risultato storico, costruito in poche settimane: non era mai successa un’invasione pacifica, intendo non armata, di una base USA. In ogni caso le antenne sono ancora là, potremmo rifarlo in qualunque momento. La base, data la sua estensione e il fatto che sia circondata da una riserva naturale, non sarà mai pienamente controllabile.
Credo che si tratti di polemiche sterili e insensate. Anni di “anticomunismo” berlusconiano hanno sedimentato, in effetti non sempre senza motivo, una feroce repulsione contro alcuni simboli. I qualunquisti si sono lamentati dell’eccessiva presenza di bandiere “rosse” all’interno del corteo. Il coordinamento regionale dei comitati non incoraggia certo l’esposizione di tali bandiere e dà, ad ogni manifestazione, l’indicazione di portare ai cortei “solo” le bandiere No Muos. Poi chiaramente in “pubblica piazza” a nessuno è fatto divieto di esporre la propria bandiera, la composizione degli spezzoni però è fatta in modo che un partito non prevalga sui comitati, relegando le bandiere di partito alla parte centrale del corteo. Polemica chiusa. Poi chi parla di flop dovrebbe spiegarci cosa intende. Portare migliaia di persone in piazza sui temi dell’antimilitarismo, della devastazione dei territori, della revisione dei trattati bilaterali è certamente cosa non semplice.
I movimenti sono fatti di fasi. In alcune fasi abbiamo avuto un approccio più morbido nei confronti degli interlocutori istituzionali, perché avevamo bisogno di smascherarli o avevamo bisogno di tempo. Ciascuna anima dà quel che può, con le peculiarità che le sono proprie. Chi riesce ad accantonare una parte delle proprie legittime posizioni e si innesta nel movimento per aiutarlo è il benvenuto. Finora la macchina ha funzionato, non ci sono state derive né in un senso né nell’altro. Un plauso dunque a chi, a volte anche con un po’ di mal di pancia, riesce a portare dentro la lotta un’istanza diversa. Un plauso a chi contribuisce comunque alla sintesi e non alle spaccature.
Sono assolutamente d’accordo. Ma anche la carta d’intenti nasce in una fase storica diversa da quella attuale, in cui la composizione eterogenea non ha permesso di avere una carta così avanzata come molti di noi aspiravano. Già l’inclusione dell’antifascismo allora destò un certo scalpore, vi fu addirittura una scissione da parte di alcuni “sinceri democratici” nel nome della libertà di parola. Probabilmente oggi i tempi sarebbero maturi per una “revisione” della carta d’intenti, che includa l’anticapitalismo tra i valori fondanti del movimento.
Non so rispondere. So però che la destra, i fascisti, hanno tentato più volte di sfondare dentro il movimento ma non ci sono mai riusciti. Prevedo infatti, e spero di non sbagliarmi, che la manifestazione del 30 sarà poco partecipata. Questo perché i sedicenti militanti della “Rete No Muos” nel mondo reale non esistono, io non li ho mai visti. Se non sei disposto a sporcarti le mani, a presidiare, a sabotare, a parlare con le persone come pensi di riuscire ad essere aggregativo lanciando una manifestazione tramite facebook? Poi cavalcare l’onda della manifestazione apartitica è proprio un colpo basso nei confronti del coordinamento, oltre un modo per nascondere la loro reale natura di forza razzista e fascista.
Il collegamento con le altre lotte è stato faticoso ma naturale. Abbiamo tentato di creare ponti con tutte le lotte territoriali, dalle più vicine a quelle più lontane. Penso ai No Triv o al “fiume in piena” di questi giorni nella “terra dei fuochi”. I No Dal Molin, con cui condividiamo buona parte della piattaforma. Poi ovviamente ci sono i No Tav, con cui tessiamo rapporti politici e personali da prima della questione Muos. Personalmente non credo più che la “Rivoluzione [ancora noi usiamo questi termini desueti]” partirà attraverso un grande evento programmato. Credo che unire tutti quei focolai di resistenza che stanno nascendo in Italia per farne un grande fuoco sia la possibilità più concreta.
Credo che l’unico modo per collegare realmente le lotte sia creare in ogni territorio un coordinamento, una rete, per poi interfacciarsi con le altre cellule. Ottima iniziativa, speriamo che anche qui si riesca a fare qualcosa del genere.
Tante cose. La libertà da certe incrostazioni ideologiche mi ha permesso di essere libero nelle cose che ho fatto. Ed essere libero significa anche sbagliare. Ecco, io ho sbagliato spesso ma sono cresciuto. A volte sono stati sbagli collettivi, forse più gravi, ma anche in quel caso siamo cresciuti insieme. Siccome non posso cambiare il passato sono cambiato io, certi errori non li rifarei più.
Credo che la lotta sia ancora lunga, nonostante l’ultimazione delle parabole sia alle porte. Aggregare, essere attrattivi. Far crescere e maturare una coscienza sociale di ribellione. Il portato di questa lotta è immenso, vincerla significa cambiare i siciliani, non gli americani. Questa è la parte più dura della lotta.