
persegue i protagonisti della lotta
Solidarietà ai compagni Mantovani e Rossi!

Tutto ha avuto inizio da una inchiesta nata a Bolzano relativamente a un procedimento di rivendicazione dei benefici contributivi per alcuni lavoratori esposti all’amianto. La controparte di questa causa, l’Inps, avrebbe formalizzato una denuncia contro ignoti, poiché lamentava che le richieste di certificazioni di esposizione all’amianto avanzate dai lavoratori all’Inail, che con la riforma del 2003 (grazie al governo Berlusconi e alla connivenza del cosiddetto centrosinistra, di cui era parte anche Rifondazione Comunista) andavano inoltrate entro il 15 giugno del 2005, sarebbero state “artefatte”. Quindi, per meglio chiarire i termine della questione: il punto non è se i lavoratori siano stati o meno esposti all’amianto, cioè ad una costanza cancerogena, ma se hanno inviato entro tale data la richiesta all’Inail, cioè se hanno inviato secondo i termini detti una semplice lettera. Si badi bene: tutto ciò non per ottenere un beneficio contributivo, ma solo per poter iniziare un difficile contenzioso contro l’Inps dal cui esito sarebbe scaturito il risarcimento contributivo.
Ma, al di là del merito della questione, la cosa incredibile è che quel procedimento non è mai stato seguito dai nostri compagni quali legali. Malgrado ciò, nel mese di ottobre 2013, il compagno Mantovani è stato sottoposto a un lungo interrogatorio e la compagna Rossi è stata chiamata come "persona informata dei fatti". Devono dar conto delle cause sull’amianto che il compagno Mantovani segue dalla fine degli anni Novanta, avendo partecipato in prima fila a costituire comitati operai contro l’amianto e a svolgere costantemente una azione di lotta e controinformazione sulla salute in fabbrica, denunciando sistematicamente le complicità tra le burocrazie sindacali, i padroni e gli enti pubblici come l’Asl e l’Inail.
L’indagine è andata avanti ed è culminata nella perquisizione ai danni dei nostri compagni e di altre due persone (un altro legale ed un operaio in pensione). Nei giorni successivi, ed è questa la cosa ancor più inquietante, è iniziata una campagna giornalistico – diffamatoria, grazie ad una cosiddetta “fuga di notizie” - da parte del noto giornale borghese Il Messaggero, il quale ha per quasi una settimana buttato fango sui nostri compagni, celebrando, di fatto, un vero e proprio processo con tanto di sentenza di condanna già scritta. Un processo attraverso il giornale, di natura kafkiana, in cui mai è stato riferito che il compagno Mantovani per anni ha dimostrato, in qualità di avvocato, che decine e decine di operai sono stati esposti all’amianto, che altri si sono ammalati di cancro e molti sono morti. Un processo giornalistico in linea con lo spessore morale e politico dei pennivendoli della borghesia, che confondendo costantemente la verità dello sfruttamento e della violenza di classe (di cui l’amianto rappresenta un esempio eloquente) con la necessità dei profitti dei loro padroni, universalizzano quotidianamente la menzogna del capitalismo. Tentiamo allora di ristabilire la verità sul problema di una sostanza killer come l’amianto e sulla legislazione liberticida sancita negli ultimi anni dal bipolarismo borghese.
L’amianto è considerato la sostanza killer del Novecento: l’inalazione di polvere di amianto può provocare malattie croniche dei polmoni o tumori della pleura e agisce anche a distanza di decenni, ed è per questo che soltanto oggi si contano le reali vittime dell’esposizione da amianto, a distanza di quarant’anni, nell’ordine dei 2000 morti all’anno e di circa 6000 parti lese. Ci sono crisi ambientali eclatanti, che esplodono, uccidono e fanno notizia, e ci sono catastrofi silenziose, che mietono vittime e contaminano l’aria anno dopo anno, in silenzio e quella dell’eternit è tra queste.
Tanto in voga fino agli anni Ottanta da prendere il nome dell’azienda produttrice, la miscela amianto-cemento, nota appunto col nome di Eternit (che nella sua storia produttiva ha fatto morire centinaia di persone di cancro) era nella case di tutti gli italiani nei tetti, nei tubi, nelle vernici. Dai dati ufficiali del Cnr si apprende che nelle città italiane vi sarebbero almeno 32 milioni di tonnellate di amianto da smaltire: ben 500 chili per abitante, due miliardi e mezzo di metri quadrati di coperture in eternit, pari a una città di 60 mila abitanti fatta di solo amianto. Una giungla di miliardi di fibre che, sino a quando non verranno smaltite, continueranno ad essere una bomba sotto la quale la popolazione siede inconsapevole: una situazione che provocherebbe la morte di circa 3 mila persone ogni anno per malattie correlate all'esposizione all'asbesto, e tra queste almeno 1.200 casi di mesotelioma, una forma di cancro per il quale finora non è stata trovata una cura. Queste sono situazioni ancor più drammatiche perché chi si ammala non aveva nessun tipo di consapevolezza, credeva di aver lavorato o vissuto in un ambiente sano. Le nuove vittime sono i lavoratori comuni, i cosiddetti ignari dell'esposizione ambientale; molti di loro non hanno lavoravano direttamente l'amianto, ma quest’ultimo stava e, in molti casi sta ancora lì, dove si guadagnavano da vivere, o dove vivevano e vivono: nelle onduline, nei capannoni, nei camini, nei cassoni per l'acqua, nelle coibentazioni selvagge che andrebbero asportate e sepolte.
Una vera e propria strage di vite umane. I numeri sono impressionanti: 90.000 morti l’anno secondo la rivista scientifica The Lancet; 500.000 quelli annunciati per la sola Europa nei primi 30 anni del XXI secolo. Eppure non sono bastate queste cifre, terrificanti, per convincere la Commissione europea a imporre un divieto totale e definitivo dell’utilizzo dell’amianto, la cui pericolosità è legata a una serie di minerali letali per l’essere umano. La nocività dell’amianto è dato conosciuto sin dagli inizi del secolo scorso, come si può evincere dalla bibliografia non soltanto scientifica in materia. L’asbesto, classificato nel gruppo 1 dall’Iarc (cancerogeno certo per l’uomo) viene considerato nocivo per inalazione. Le principali patologie correlate all’asbesto sono: asbestosi, cioè una progressiva ed inarrestabile fibrosi del polmone; danni pleurici (placche e ispessimenti). Non esistono altre sostanze, oltre le fibre di amianto, idonee a causare nell’uomo l’insorgenza di tali patologie: tumori primitivi pleurici (mesoteliomi); tumori epiteliali polmonari. Vi è una correlazione certa tra l’insorgere di tali patologie e l’esposizione all’amianto; tumori in altre parti del corpo: in particolare quelli laringei, gastrointestinali, renali, del sistema linfoemopoietico e ovarici nelle donne.
Alla fine degli anni Sessanta nel mondo scientifico erano noti da almeno venti anni gli effetti negativi dell’uso dell’amianto, anche a livello di piccole industrie e a prescindere dalla tipologia di produzione e di trasformazione di tale materiale. Per altro, si tratta di conoscenze diffuse attraverso la pubblicazione dell’Ente Nazionale di Propaganda per la Prevenzione degli Infortuni e recepite dalla L. 455/43. Nel contempo venivano condotti studi in merito alla eziologia del tumore polmonare che evidenziarono un sicuro nesso tra asbestosi e tumore polmonare. Tra questi studi ricordiamo quello di Doll (Mortality from lung cancer in asbestos workers. Br. J. Ind. Med. 1955) e quello di Rombola in Italia (Asbestosi e carcinoma polmonare in una filatrice di amianto, Med. Lav. 1955). Negli stessi anni, inoltre vi fu ampia diffusione di pubblicazioni inerenti i casi di malattie da polvere di amianto (Molfino e Zannini: Malattie da polveri dei lavoratori dei porti, Folia Medica 1956; Vecchione: Indagine igienico sanitaria in un moderno stabilimento per la lavorazione dei manufatti in fibro cemento e affini, Folia Medica 1960).
Infine, è da sottolineare che l’assicurazione contro l’asbestosi è divenuta obbligatoria con la già citata L. 455/43. Dalla panoramica degli studi sopra effettuata, emerge che nel mondo scientifico e in particolare in quello italiano in ordine al problema della prevenzione degli infortuni – sia sotto il profilo della prevedibilità ed evitabilità delle patologie, sia sotto il profilo causale – vi era un’ampia documentazione e conoscenza del legame eziologico esistente tra asbesto e asbestosi o altre gravi patologie polmonari.
Pertanto, in conclusione, dalle leggi scientifiche e statistiche emerge il dato certo che più alto è il livello di esposizione all’amianto, maggiori sono le probabilità che si verifichi una delle patologie tipiche provocate dall’amianto.
Sarebbe bastata una semplice legge per impedire l’uso dell’amianto e prevedere la bonifica dei siti produttivi per impedire che molti operai si ammalassero. Ma l’unica legge reale di questo sistema capitalistico è quella del profitto.
La riforma introdotta dalla 269/2003, imponendo un termine entro il quale inviare all’Inail la richiesta di certificazione di esposizione all’amianto, ha di fatto messo una pietra tombale sul quel piccolo beneficio contributivo sancito dalla precedente legge 257/92.
Questa riforma, in linea con i tagli ai diritti dei lavoratori e con la politica di attacco della borghesia alle condizioni di vita di milioni di operai, si pone in contrasto con gli stessi principi della carta costituzionale, da sempre sbandierata (come si vede a torto e inutilmente) dal riformismo come sacra e inviolabile. Difatti tale riforma si pone in contrasto con il cosiddetto principio di uguaglianza sancito dall'art. 3 della Costituzione, che solennemente recita: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”.
Per decenni la letteratura giuridico-borghese ha fatto scorrere fiumi d’inchiostro nel ribadire che “è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese”. Ma poi è la stessa Legge 269/2003 a riservare un trattamento deteriore a soggetti che si sono trovati in situazione uguali, se non peggiori, rispetto alla esposizione all’amianto.
Ma ancora, la stessa legislazione viola l'art. 32 della Costituzione il quale non meno pomposamente asserisce che: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana, in quanto, pur riconoscendo la pericolosità di una determinata attività produttiva, compenserebbe l'esposizione della salute al rischio di lesione soltanto in favore di alcuni soggetti e non di altri, mentre la salute è un bene che merita incondizionata tutela per ciascun individuo”. Peccato che tale principio rimanga confinato alla carta, mentre nella realtà il sistema capitalistico fa ammalare e morire una enorme quantità di lavoratori.
Sulle contraddizioni dell’ordinamento giuridico borghese, si aggiunga che la legge di riforma di cui ci stiamo occupando viola anche l'art. 38 della Costituzione, il quale ci assicura che: “Ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento e all'assistenza sociale…”. Peccato che la garanzia della tutela previdenziale riconosciuta dal secondo comma della citata disposizione costituzionale imporrebbe l'attribuzione generalizzata del beneficio a tutti coloro che siano stati esposti all'amianto, mentre la legge di riforma ha di fatto messo una pietra tombale persino sopra a quelle poche briciole di beneficio contributivo, malgrado l’amianto abbia mietuto e mieterà decine di migliaia di vite umane.
Le stime dell’Ispesl parlano di altri 15000 morti solo per mesotelioma pleurico per i prossimi 15 anni, ed il picco deve ancor avvenire (sarà intorno al 2017); se si aggiungono i casi di cancro polmonare e l’altrettanto mortale asbestosi, si arriva a numeri da ecatombe. La nuova legge non si limita ad abbassare l’entità del beneficio, ma introduce una nuova regolamentazione che muta sicuramente oltre al quantum del beneficio (da 1,5 a 1,25), l’oggetto del beneficio (solo importo di prestazioni già maturate e non diritto di accesso), i soggetti titolari (solo quelli che sono iscritti all’Inail), presupposti e condizioni (100 fibra litro che è pari a quella che troviamo nelle miniere); addirittura il soggetto che deve concedere il beneficio (l’Inail); e prevede pure un termine di decadenza, cioè il 15 giugno 2005: chi non ha inviato una semplice lettera all’Inail non potrà più rivendicare il beneficio contributivo...
E ciò malgrado la modalità con qui agisce l'amianto sulle persone! E' noto infatti che le patologie possono rimanere silenti e latenti rispetto all'esposizione anche per 20/30 anni; per cui un lavoratore può sviluppare la malattia (e morire) senza alcun preavviso.
Inoltre l’amianto è, dal punto di vista della dose nociva, un cancerogeno a effetti perversi: non ci sono limiti di esposizione che possano essere ritenuti innocui per la salute; così è scritto a chiare lettere nelle risoluzioni dell'Organizzazione Mondiale della Sanità ed è testualmente affermato nella direttiva Cee 83/477; il rischio è insomma rappresentato dall'esposizione in sé anche a basse dosi.
La situazione sopra descritta ha suggerito l’adozione di provvedimenti legislativi, almeno solo a parole, che hanno imposto, a partire dal 1992, la dismissione dalla produzione e dal commercio dell’amianto e dei prodotti che lo contengono.
Come abbiamo potuto vedere da questa illustrazione della contraddittoria legislazione che si è avvicendata negli ultimi venti anni sulla questione dell’amianto, emerge che è la proprietà privata dei mezzi di produzione a determinare l’uso o meno di sostanze dannose per i lavoratori e non certamente le leggi scritte sulla carta (carta costituzionale inclusa).
Che da decenni i lavoratori siano uccisi per volontà del profitto padronale non rappresenta un elemento di scandalo né per la politica borghese, né tanto meno per la magistratura borghese che, come dimostra la repressione giudiziaria scatenata contro i nostri compagni Mantovani e Rossi, è capace di mobilitare ingenti energie investigative per verificare se siano o meno state spedite delle semplici richieste a un ente da parte dei lavoratori, ma non muove un dito per indagare su una strage operaia che continua da decenni a opera dei capitalisti, persino in barba alle stesse normative dell’ordinamento borghese.
La verità ancora una volta è inscritta nella lotta di classe: solo l’alternativa socialista potrà salvare milioni di lavoratori dallo sfruttamento, dalla malattia e dalla morte che il capitalismo produce quotidianamente in tutto il mondo. Solo una nuova direzione del movimento operaio, su scala internazionale, può dirigere una rivoluzione, tanto più oggi, necessaria per combattere la barbarie del capitalismo.